Un bel prato che cresce da solo è il sogno di qualunque appassionato del verde e, come tale, è praticamente irrealizzabile, ma avere un bel prato con una bassa manutenzione è possibile, a patto di fare le scelte giuste sia in termini agronomici sia di varietà.

Innanzitutto bisogna capire cosa si intende con “bassa manutenzione”, un prato, per quanto resistente e vigoroso, deve comunque poter disporre di una quantità minima di acqua e di una situazione climatica “vivibile”, ma determinate varietà di erba sono molto più adatte di altre al calpestio, necessitano di meno irrigazioni e crescono meno in altezza richiedendo quindi rasatura con minore frequenza.

La Festuca arundinacea è sicuramente una di queste: è una specie microterma appartenente alla famiglia delle Poaceae caratterizzata da ampia adattabilità: è infatti adatta a climi moderatamente freddo-umidi o freddo-aridi e cresce bene anche nelle regioni con climi intermedi. Viene molto utilizzata nella realizzazione di tappeti erbosi poiché tollera caldo, siccità, luce e ombra, rimane verde tutto l’anno (durante l’inverno tende a decolorare leggermente), resiste a diverse malattie, sopporta molto bene l’usura ed è molto persistente anche in caso di scarsa manutenzione.

Predilige suoli fertili, con un pH di 6 – 6,5 ed è caratterizzata da un apparato radicale più profondo rispetto ad altre specie come Poa pratensis, Lolium perenne e Agrostis stolonifera.

Queste caratteristiche la rendono utile sia per l’uso ornamentale, sia sportivo, viene infatti spesso utilizzata per i campi da calcio. Quasi tutte le varietà di Festuca arundinacea sono infatti adatte all’impiego sui tappeti erbosi ricreativi in considerazione dell’elevata resistenza al calpestamento, alle malattie, ai suoli acidi e della bassa suscettibilità alla formazione di feltro.

In commercio è facile reperire miscugli contenenti di Festuca arundinacea in percentuale molto elevata e composti da varietà di ultima generazione, che presentano una crescita verticale più che dimezzata rispetto agli ecotipi originali, maggiore capacità di accestimento, miglior colore, finezza fogliare e crescita eretta dei culmi.

Negli ultimi anni la Festuca arundinacea e i suoi miscugli hanno avuto grande successo, ma è importante che chi acquista non si lasci ammaliare dal packaging della confezione, ma che si faccia guidare dai consigli delle aziende sementiere, in grado di indicare le specie e le varietà più adatte a seconda delle varie esigenze.

Fonti consultate:

  • Panella A., Croce P., De Luca A., Falcinelli M., Modestini F.S., Veronesi F., 2000. Tappeti Erbosi. Calderoni Edagricole, Bologna, Italia. 475pp.
  • Russi L., Martiniello P.,Tomasoni C., Annicchiarico P., Piano E., Veronesi F., 2001. Establishment of cool season grasses in different italian enviroments. International turfgrass society research journal. Volume 9
  • Volterrani M., Magni S., 2007. Il tappeto erboso ieri,oggi e domani-in “aspetti tecnici,ambientali e paesaggistici”. I quaderni del C.I.R.A.A.
  • www.pratinaturali.it/un-tappeto-erboso-perfetto-5-semplici-mosse

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L’arieggiatura (o arieggiamento) del prato è una pratica tanto importante quanto spesso tralasciata, soprattutto in ambiti non professionali.

Arieggiare il prato è vantaggioso per una serie di motivi, che possiamo sintetizzare come segue:
• rompe il “feltro”, ossia lo strato di foglie, detriti e residui vegetali che si depositano sul suolo e che possono costituire uno strato spesso;
• ossigena la zona radicale del prato permettendo un migliore scambio gassoso per le radici;
• permette ad acqua e nutrienti di penetrare meglio nel terreno grazie all’azione di decompattazione.

Questi fattori concorrono quindi a far sì che irrigazioni, fertilizzazioni e anche l’attività di fotosintesi siano più efficienti, dando al prato una maggiore resistenza nei confronti degli stress e, conseguentemente, delle malattie.

In commercio esistono arieggiatori manuali, adatti a superfici contenute, e diversi modelli di arieggiatori/scarificatori adatti all’impiego domestico, sono normalmente dotati di rulli con lame o denti metallici e possono essere equipaggiati con motori elettrici o a scoppio.
La frequenza dell’arieggiamento dipende principalmente da due fattori: il suolo e la tipologia di erba.
I suoli argillosi, che si compattano facilmente, andrebbero arieggiati almeno una volta all’anno, mentre quelli più sabbiosi anche ad anni alterni.

Se il prato è particolarmente sollecitato da passaggi di automobili o da frequenti calpestamenti è buona norma valutare lo stato del compattamento in ogni caso.

Nel caso di terreni poco compatti, sabbiosi o terreni che sono stati arieggiati nei 12 mesi precedenti, per l’arieggiamento può bastare una sola passata, mentre nel caso di terreni pesanti o che non sono stati arieggiati da più di un anno è consigliabile fare due passate in sensi opposti.

Per quanto riguarda la tipologia di erba è importante sapere che le specie più adatte ai climi caldi (macroterme, ad esempio Cynodon, Paspalum, Zoysia) preferiscono temperature comprese tra i 24 e i 32 °C per lo sviluppo radicale e tra i 30 e i 37 °C per quello vegetativo, quindi è opportuno arieggiare in tarda primavera-inizio estate, in modo da far sì che la crescita del manto riempia i vuoti creati con l’arieggiatura. L’erba per climi freschi (microterme, ad esempio Poa, Lolium, Festuca) predilige una temperatura tra i 10 e 18 °C per l’attività radicale e tra i 15 e i 24 °C per quella vegetativa aerea, quindi è meglio arieggiare ad inizio autunno.

Prima di arieggiare è bene eseguire un taglio basso intorno ai 3 centimetri ed è buona norma arieggiare quando il suolo è umido, ma non troppo bagnato, per permettere alle lame dell’arieggiatore di agire con più efficacia e meno sforzo. Se necessario è consigliabile irrigare il prato prima di arieggiare. Anche il diserbo va effettuato prima di arieggiare, questa operazione infatti stimola la germinazione di semi di eventuali porzioni radicali di erbe infestanti presenti.

Per lo stesso motivo è inoltre consigliabile eseguire l’arieggiamento prima di riseminare il prato o prima delle fertilizzazioni, l’arieggiatura infatti crea uno spazio che facilita la penetrazione dei semi e del fertilizzante.

 

Fonti consultate:
Tappeti erbosi – Edagricole (2006)

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Che l’attività fisica, da una semplice passeggiata a uno sport intenso, faccia bene è risaputo, ma farlo all’aria aperta è ancora meglio.
Diversi studi scientifici evidenziano che nella popolazione fisicamente attiva (che pratica attività fisica moderata tutti i giorni o quasi) si ha una riduzione del 30-50% del rischio relativo di malattie coronariche rispetto alla popolazione sedentaria, a parità di altri fattori di rischio.
Uno studio effettuato nel 2009 su 350.000 pazienti da 195 medici di famiglia olandesi ha evidenziato che per 15 delle 24 patologie esaminate la frequenza delle malattie croniche (cardiopatie coronariche come angina e infarto, disturbi scheletrici, ansia, depressione, infezioni respiratorie, cefalea, vertigini, infezioni delle vie urinarie, diabete) era inferiore in chi viveva a meno di 1 km di distanza da parchi o aree verdi. Non solo, in uno studio analogo giapponese del 2002, gli autori hanno studiato l’associazione a Tokio tra la presenza di aree verdi vicino alla casa di residenza e la sopravvivenza di 3.144 anziani. Ne è risultato che la probabilità di sopravvivenza a 5 anni era direttamente proporzionale allo spazio disponibile per camminare, al numero di parchi e di strade alberate vicino al domicilio, alle ore di esposizione al sole della casa e all’affermazione di voler continuare a vivere nello stesso quartiere.

Quindi, se muoversi fa bene, muoversi nel verde fa ancora meglio.
Lo sport praticato in ambienti aperti permette di respirare aria pura, migliorando l’efficienza dell’atto respiratorio. Le radiazioni solari, inoltre, esercitano un’azione curativa e preventiva nei riguardi di alcune malattie ossee o polmonari perché favoriscono la produzione di vitamina D.

Inoltre fare attività fisica su un prato naturale è più sicuro per articolazioni e muscolatura: sui manti erbosi naturali si ha un miglior appoggio delle calzature, l’erba esercita un maggiore attrito in caso di umidità e quindi minori possibilità di scivolare e cadere, senza contare la maggiore elasticità e sofficità rispetto a qualunque altra superficie. Non per niente molti atleti professionisti preferiscono giocare sulle superfici naturali invece che su quelle sintetiche.

Uno studio del Cnr (Centro nazionale ricerche) ha evidenziato, infine, come obesità infantile, attività fisica e livello di urbanizzazione siano collegati tra loro: per i bambini è importante sia la regolarità dell’esercizio sia il tempo impiegato. Fino ai 10 anni – recita lo studio – la dimensione del divertimento va privilegiata rispetto a quella della competizione ed è quindi importante aumentare nelle città gli spazi di verde pubblico attrezzato.


Fonti consultate
“Spazi per camminare, camminare fa bene alla salute”. A cura di Armando Barp e Domenico Bolla, edizioni Marsilio (2009).
“Spazi verdi da vivere”. Pubblicazione a cura dell’Azienda ULSS 20 ed Università Iuav di Venezia.
“Physical activity, adiposity and urbanization level in children: results for the Italian cohort of the IDEFICS study” – Pubblic Healt Journal, Volume 127, Issue 8, Pages 761–765 (2013).
WHO, Physical Activity – www.who.int/dietphysicalactivity/publications/facts/pa/en
“Physical activity decreases cardiovascular disease risk in women: review and meta-analysis». Am. J. Prev. Med., Y. Oguma, T. Shinoda-Tagawa.
www.sementi.it

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Di solito la parola inquinamento evoca nella nostra mente ciminiere, gas di scarico e condotte fognarie che scaricano dentro i fiumi. Eppure esistono fonti di inquinamento meno note ma altrettanto dannose per la nostra salute: i rumori.
Chi vive in una grande città ha esperienza quotidiana dell’inquinamento acustico, una minaccia costante alla qualità della nostra vita, causa di stress psichico e fisico. Molte ricerche specialistiche hanno infatti dimostrato come l’incidenza di disturbi del sonno, infarti, ictus, ipertensione e malattie cardiovascolari, sia più diffusa tra la popolazione che vive nella congestione di città particolarmente rumorose, rispetto a quella meno sottoposta ai rumori.

L’inquinamento acustico può essere causa di ansia ed irritabilità nei bambini e di depressione negli adulti, ma l’Organizzazione mondiale della Sanità sostiene che in Europa l’inquinamento acustico rappresenti il secondo problema di rischio ambientale. Inoltre uno studio condotto nel 2001 negli Stati Uniti sostiene che, quando persistente, può causare gravi affezioni negli anziani, o aggravarle quando preesistenti.

Il verde urbano, ancora una volta, è una risorsa fondamentale per contrastare questo rischio: la vegetazione arborea ed arbustiva può contribuire ad attenuare i rumori mediante l’assorbimento, la riflessione e la rifrazione delle onde sonore. Non per niente la legge n. 10/2013 (Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani) all’art. 1 comma 1 riconosce agli spazi verdi urbani un ruolo essenziale nel miglioramento della «vivibilità degli insediamenti urbani».

Le foglie delle essenze che costituiscono un prato naturale, oltre che assorbire le emissioni tossiche prodotte dalla combustione dei gas di scarico e trattenere polveri e inquinanti dell’aria, sono in grado di attenuare il fastidio procurato dal rumore del 20-30%.

Le onde sonore sono infatti fortemente influenzate dalla tipologia di superficie che incontrano durante la loro diffusione: i prati, costituiti da tanti “fili di erba” offrono una superficie molto irregolare e flessibile, in grado di smorzare le onde sonore, assorbendo ed attenuando quindi i rumori del traffico, dei lavori in corso, delle industrie, ecc. In questo senso basti pensare che i prati presenti sugli argini delle autostrade riducono il rumore del traffico due volte di più rispetto alle pavimentazioni artificiali. Inoltre altri studi hanno dimostrato che se un prato naturale viene disposto su una barriera inclinata verso una fonte di rumore, questo viene ridotto da 8 a 10 decibel.

Considerando che, per evitare guai seri alla nostra salute, l’Oms raccomanda il rispetto delle soglie di esposizione fissate a 65 decibel durante il giorno e a 55 nel corso della notte, il prato naturale conferma il suo importante ruolo di “salva vita”.

Fonti consultate
«Burden of disease from environmental noise. Quantification of healthy life years lost in Europe» – Oms Europa, Joint Research Centre (Jrc) della Commissione europea (2011).
Manuale per tecnici del verde urbano, Regione Piemonte.
www.tuttogreen.it
www.sementi.it
www.thelawninstitute.org

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Il periodo più caldo dell’anno è ormai alle porte e anche il prato, come qualunque altra coltura, necessita di acqua per mantenersi rigoglioso e sano.
Ecco qualche consiglio, valido sia per il piccolo giardino dietro casa sia per superfici più ampie ma comunque non per uso professionale.
Irrigare presto alla mattina è una buona pratica per razionalizzare l’utilizzo dell’acqua da parte delle piante, e quindi far sì che l’irrigazione sia efficiente, partendo dal presupposto che il momento in cui effettuare l’irrigazione è quello in cui la pianta inizia ad appassire: ottimale è intervenire immediatamente prima di questo momento e assolutamente prima che l’appassimento diventi permanente. Irrigare nelle ore serali, sebbene sia una pratica normalmente diffusa, aumenta il rischio di malattie fungine delle piante (molto spesso causate da Phytium) perché mantiene la vegetazione umida per diverse ore.
Le ore centrali della giornata sono da evitare nel caso in cui esista il rischio di superare la capacità di infiltrazione dell’acqua nel terreno creando acqua stagnante: questa scaldandosi può aumentare la temperatura della corona della pianta provocando serie lesioni.

Discorso a parte merita la pratica del syringing, tramite la quale si somministrano modeste quantità di acqua allo scopo di aggiungere al raffreddamento determinato dall’acqua traspirata, quello dell’acqua evaporata. Con questo metodo la somministrazione viene effettuata proprio in corrispondenza delle ore più calde della giornata quando è massima la perdita di acqua per evapotraspirazione e più altro è il rischio di deficit idrico. In ambito professionale si usa irrigare i tappeti erbosi sportivi (golf e campi da calcio in primis) nelle ore più calde proprio per abbassare la temperatura dell’erba e fare soffrire meno il tappeto erboso, ma è una pratica da effettuare solamente in caso di necessità ed è meglio averne esperienza.
Sarebbe inoltre buona norma applicare l’acqua a cicli brevi o a quantità ridotte in cicli più lunghi: ciò permette l’ottimizzazione del tasso di infiltrazione idrica senza provocare pozzanghere o ruscellamenti con seri rischi, con il caldo, di sviluppo di organismi fungini come il già citato Pythium. Ulteriore buona norma è interrompere l’irrigazione al formarsi di pozzanghere permettendo l’assorbimento dell’acqua nel terreno prima di ricominciare ad irrigare.
Uno degli aspetti più complessi legati all’irrigazione è ovviamente la quantità di acqua da distribuire, in linea di massima è importante dare acqua ma nello stesso tempo non asfissiare il terreno.

Un valore assolutamente generale, che varia comunque in base ad altitudine, evapotraspirazione ed altri fattori, può essere quello di 6 litri di acqua per m² di prato al giorno. Quindi, ipotizzando di irrigare ogni 2 giorni, all’incirca 24 litri per m² alla settimana.
Nel caso in cui sia necessario intervenire con volumi idrici molto consistenti in una unica soluzione è buona pratica effettuare in precedenza la “forconatura” del prato. Questa operazione altro non è che la foratura, con un attrezzo adatto, del manto erboso per una profondità che può arrivare a 20-30 cm. Gli impianti professionali, come i campi da calcio o da golf, dispongono di macchine che eseguono questa operazione, mentre nel prato “domestico” si può utilizzare, appunto, un semplice “forcone”.

Lo scopo di questa operazione è quello ovviare temporaneamente a fenomeni quali ristagni di acqua, che possono verificarsi anche dopo i temporali tipici di questo periodo dell’anno, che aumentano il rischio sopraccitato di malattie fungine.

Fonti consultate:
Tappeti Erbosi (Edagricole, 2006)
www.sementi.it
www.vitaincampagna.it
www.calciatori.com

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Fonte foto: Pixabay.com

Salita agli onori della cronaca oltre 10 anni fa (www.pratinaturali.it/sport-prati-naturali-meglio) la notizia relativa ai rischi per la salute connessi all’attività sportiva sui campi in erba sintetica è stata una vera e propria bomba, soprattutto in Olanda, dove la discussione attorno a questa questione continua a tenere banco da diversi mesi.
Tutto è partito da un’indagine della trasmissione televisiva olandese “Zembla” andata in onda ad ottobre 2016, secondo la quale i granuli di gomma utilizzati per l’intaso dei prati sintetici sono potenzialmente cancerogeni poiché rilascerebbero composti nocivi per l’uomo.
La trasmissione (visionabile a questo link ) ha spinto il governo dell’Aia a chiedere un’ indagine all’Istituto nazionale olandese per la salute e l’ambiente (RIVM), che, di fatto, ha ribaltato la tesi della trasmissione rilevando come “trascurabile” il rischio per la salute di chi viene a contatto con i campi in erba sintetica. “I granuli di gomma contengono svariate sostanze – recita lo studio – come idrocarburi policiclici aromatici, metalli, ftalati e bisfenolo A, il cui rilascio nell’ambiente circostante risulta però essere in concentrazioni molto ridotte. Questo perché – continua lo studio – le sostanze sono inglobate all’interno dei granuli, quindi il loro effetto sulla salute umana risulta trascurabile”.
Non si è fatta attendere la replica di Zembla, che lo scorso febbraio ha girato una seconda puntata del documentario (visionabile a questo link) replicando al RIVM tramite il parere scientifico del prof. Jacob de Boer, direttore dell’istituto per gli studi ambientali dell’Università di Amsterdam (Vrije Universiteit), secondo il quale è fortemente sconsigliato svolgere attività sportiva su prati sintetici rivestiti da granuli di gomma.

Evidenze scientifiche

Gli studi svolti dall’Istituto olandese hanno sottoposto stadi giovanili ed embrioni di pesce zebra (Danio rerio, scelto perché in questi pesci il cancro si sviluppa in modo simile a quello dell’uomo) evidenziando l’effetto delle sostanze incriminate: “gli embrioni esposti ad acqua messa a contatto per 24 ore con i granuli di gomma – ha detto de Boer intervistato da Zembla – sono morti dopo 5 giorni, mentre gli stadi giovanili dei pesci hanno modificato il loro comportamento. Secondo l’RIVM le sostanze chimiche sono imprigionate dentro i granuli – ha aggiunto de Boer – ma noi abbiamo riscontrato l’esatto opposto, vengono rilasciate nell’ambiente».
«Va segnalato che serviranno ulteriori studi per provare l’effetto sulla salute umana, ma gli studi dell’Università di Amsterdam sono un campanello d’allarme», ha detto a Zembla Jessica Legradi, tossicologa della Vrije Universiteit.
La questione, insomma, è lungi dall’essere chiusa.

Fonti consultate
https://zembla.vara.nl/nieuws/dutch-university-research-shows-use-of-rubber-infill-for-artificial-grass-should-be-avoided
http://rivm.openrepository.com/rivm/handle/10029/620801
https://www.vu.nl/en/
http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1535610802000521

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Nada Forbici, presidente di Assofloro Lombardia

«Progettare il verde urbano del futuro vuol dire oltrepassare gli schemi tradizionali progettuali con i quali si interpretavano e realizzavano le aree verdi, in particolare quelle a destinazione pubblica: significa far convivere un progetto spaziale con quello naturalistico e sociale, creare nuovi ed integrati rapporti tra i sistemi insediativi e tutte le componenti degli spazi aperti, siano esse di natura percettiva sia partecipativa». Questa la filosofia della presidente di Assofloro Lombardia Nada Forbici, con la quale abbiamo cercato di delineare lo scenario di domani per il prato naturale, tra cui la defiscalizzazione del verde privato.
Presidente Forbici, quali sono le tendenze future più interessanti relativamente al verde urbano?
In futuro sarà sempre più fondamentale concepire il paesaggio come espressione del luogo stesso in cui si trova inserito e dell’aspetto sociale-culturale della comunità che lo ospita. Il futuro verde urbano dovrà sapersi adattare ad un mondo in cambiamento, non solo nel clima ma anche della società e nelle richieste del cittadino. La parola chiava sarà Progetti Integrati: una sinergia ed un ridisegno del tessuto urbano che compenetri infrastrutture verdi e green building, creando nuovi ecosistemi che contribuiscano a migliorare il microclima e la biodiversità e ridurre l’inquinamento, le isole di calore, i dissesti idrogeologici”.

Il prato naturale è un elemento propulsivo per il verde urbano, come sarà secondo lei il prato del futuro?
Il concetto di prato ornamentale, arrivato in Italia secondo il paradigma del “prato all’inglese” (un prato perfetto, elegante, raffinato e, di conseguenza, molto esigente da un punto di vista manutentivo e di costi), è destinato a subire una svolta che è in parte già avviata. Già da qualche anno, infatti, a partire dalla crisi economica che ha ridotto le risorse pubbliche e private, in concomitanza con l’attenzione crescente all’impatto ambientale delle azioni antropiche, il modello del prato all’inglese ha iniziato a vacillare.
Così iniziano a farsi spazio tappeti erbosi più ecologici e più economici, che prevedono l’utilizzo di specie autoctone, di varietà più resistenti allo stress idrico, di prati estensivi a basso costo manutentivo (ridotto nr. di sfalci, ridotto uso della chimica per fertilizzazione), di prati più resistenti alle malattie (che possano essere gestiti senza l’utilizzo di prodotti fitosanitari.
Sono nate così nuove tipologie di tappeto erboso prima non conosciute dal mercato, ed altre sono ancora in fase di sperimentazione, oggi in Italia.

Ritiene che a queste innovazioni debba seguire un nuovo approccio da parte degli gli operatori del settore?
L’approccio nuovo si può riassumere in queste parole chiave: gestione organica del tappeto erboso, e approccio naturale/biologico. Il cambiamento culturale, che deve avvenire nel pubblico ma anche negli operatori professionisti (giardinieri) è molto lento e difficile, anche perché va nella direzione opposta rispetto ai paradigmi della nostra società post-contemporanea (quelli del tutto-subito e del perfetto-per sempre-a costo accessibile). Per questo si sta verificando il fenomeno di mercato del prato sintetico, con un boom vero e proprio negli ultimi due anni, perché risponde perfettamente a questo immaginario. Ovviamente a livello qualitativo il prato naturale non ha confronti, l’unico punto in comune con il sintetico è che sono entrambi verdi ma tutti i benefici del prato naturale spariscono con l’utilizzo del sintetico.

Assofloro Lombardia ha presentato recentemente delle proposte di legge in materia di defiscalizzazione del verde privato: quali vantaggi apporterebbero a livello sociale e occupazionale?
I vantaggi ed i benefici sono diversi e coinvolgono svariati livelli. Grazie all’incentivazione di interventi di riqualificazione, recupero e realizzazione di aree verdi private, attraverso un sistema di agevolazioni fiscali, si otterrebbero una serie di risultati importanti fra cui:
• aumento dell’occupazione,
• aumento del gettito fiscale,
• emersione del lavoro nero,
• aumento del valore immobiliare,
• riqualificazione ecologico ambientale delle aree edificate,
• diminuzione dell’isola di calore,
• miglioramento della qualità dell’aria e della vita.
La questione è di importanza trasversale perché il verde privato, come quello pubblico, hanno una ricaduta che va oltre l’estetica e riguarda l’ambiente, la salute, il benessere, la qualificazione del lavoro, ecc.
È stato stimato che l’incremento di fatturato per l’anno 2017 relativamente ai lavori straordinari di riqualificazione e manutenzione del verde, in aree verdi esistenti e aree verdi urbanizzate esistenti, ammonterebbe a circa 1,2 miliardi di euro. Tale stima è stata elaborata incrociando e rapportando i dati del settore verde con quelli del settore primario ad esso connesso, vale a dire il settore delle costruzioni e ristrutturazioni in ambito di edilizia. Per i motivi precedentemente riportati investire oggi in una politica “green oriented” potrà solo portare ricadute positive a livello nazionale

Oggi viene incentivato tutto ciò che viene ristrutturato all’esterno delle abitazioni, eccetto il verde. I tempi sono maturi per un ampliamento di prospettiva?
È necessario un ampliamento di prospettiva, da intendersi come strumento ed opportunità per il rilancio economico dell’intero settore legato al verde. I dati sono significativi: Il florovivaismo in Italia vale oltre 2,5 miliardi di euro, di cui circa 1,15 per la sola produzione di fiori e piante da vaso. Sono ben 30.000 le aziende impegnate nel settore, per un totale di 180.000 occupati nel settore compresi quelli dell’ambito manutentivo e quasi 29.000 ettari di superficie agricola complessivamente occupata. Consideriamo poi tutto l’indotto connesso al mondo del verde produttivo e di costruzione-manutenzione. È un’opportunità, rimarchiamo, per sostenere e rilanciare l’intero comparto legato al verde che, non smetteremo di ricordare, apporta benefici imprescindibili per l’ambiente e la salute di tutti noi cittadini.

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In città fa più caldo che in campagna. Quello che può sembrare un luogo comune è in realtà un’allerta reale, una problematica che da diversi anni viene evidenziata da meteorologi e climatologi.
Il fenomeno che ci fa boccheggiare in città si chiama Isola di calore ed è un evento climatico documentato da centinaia di studi scientifici che determina un microclima più caldo all’interno delle aree urbane cittadine rispetto alle circostanti zone periferiche e rurali.
La cause sono diverse: la diffusa cementificazione, le superfici asfaltate che prevalgono nettamente rispetto alle aree verdi, le emissioni degli autoveicoli, degli impianti industriali e dei sistemi di riscaldamento e di aria condizionata ad uso domestico.
Nelle ultime stagioni estive le temperature nelle grandi città italiane sono aumentate tra gli 1,8 e i 3,7 °C rispetto alle medie del trentennio di riferimento climatico 1961-1990 (convenzionalmente fissate dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale) mentre nelle aree rurali circostanti i valori si sono mantenuti pressoché stabili con le medie trentennali, tanto che nei progetti di nuova urbanizzazione e negli interventi di riqualificazione di aree già urbanizzate la minimizzazione dell’isola di calore porta a scelte tecnicamente consapevoli circa le caratteristiche dei materiali di costruzione e, aspetto ancora più importante, la copertura verde del suolo (alberi e superfici a verde) e degli edifici (tetti e pareti verdi).
È risaputo, oltre che scientificamente provato, che le superfici naturali riducono maggiormente il calore rispetto alle pavimentazioni urbane, il terreno nudo o ai materiali sintetici per merito del processo di evapotraspirazione.
Uno dei “materiali” biologici più efficaci per il controllo del microclima degli spazi esterni è appunto la vegetazione che, se utilizzata in modo appropriato, può determinare un effetto di miglioramento consistente.

Ricordiamo che in una bella giornata estiva un tappeto erboso di un ettaro è in grado di rilasciare 20.000 litri di acqua nell’atmosfera, inoltre, sempre attraverso l’evapotraspirazione, il verde urbano fornisce sia protezione solare sia raffreddamento dell’aria ambiente: uno studio sull’impatto degli spazi verdi urbani ha dimostrato che l’evapotraspirazione degli alberi o delle aree verdi aumenta l’umidità relativa dell’aria e contribuisce indirettamente alla riduzione della temperatura in città.
L’effetto di raffrescamento estivo dei grandi parchi urbani e delle cinture verdi è noto: diverse sperimentazioni internazionali testimoniano una differenza di temperatura dell’aria da 2 a 4°C fra gli spazi interclusi in grandi aree verdi e quelli dell’ambiente costruito immediatamente circostante. Tale differenza di temperatura, oltre a determinare diverse condizioni di comfort tra aree verdi ed aree costruite, induce brezze termiche urbane che, in assenza di vento, possono dare un contributo al raffrescamento del sito e degli edifici.

Fonti consultate

  • “Gli effetti del verde sulla mitigazione dell’isola di calore urbana” – Beretta S. – Politecnico di Milano, Facoltà di Architettura e Società
  • www.mygreenbuildings.org
  • www.wikipedia.com
  • Arpae – Emilia Romagna
  • “Spazi verdi da vivere” – Regione Veneto, Azienda ULSS 20, Università Iuav di Venezia

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SAM_0656Scegliere un tappeto erboso naturale per il proprio giardino di casa assicura numerosi vantaggi non solo dal punto di vista ambientale ed economico, ma anche sociale. Un giardino è infatti una “porzione di natura” che deve suscitare emozioni a chi ne usufruisce grazie alla sua funzione estetica e paesaggistica che non può essere sostituita dall’erba artificiale.

Per godere di un prato naturale bello, sano e duraturo bastano pochi e semplici accorgimenti. Ce li spiega l’agronomo Riccardo Dal Fiume, che da oltre vent’anni si occupa di consulenza per i tappeti erbosi con un particolare interesse per il verde ornamentale.

–          Miglioramento del terreno: conoscere e saper valutare, attraverso un’analisi del terreno, il suolo su cui si andrà a seminare è il primo fondamentale passo per raggiungere ottimi risultati. È buona norma in questa fase iniziale utilizzare un fondo di sabbia che favorisca il drenaggio e riduca il ristagno, contribuendo così a scongiurare l’insorgere di malattie.

–          Scegliere la giusta semente: la ricerca sementiera negli ultimi trent’anni ha compiuto passi da gigante. Se prima l’obiettivo principale da conseguire era soprattutto estetico, oggi è diventato la sostenibilità ambientale. Sono state create varietà a basso regime manutentivo, che necessitano di meno trattamenti chimici e con una alta capacità di recupero dopo qualsiasi tipo di stress. Tra le specie più utilizzate, negli ultimi anni ha avuto grande successo la Festuca arundinacea e i suoi miscugli, per le sue caratteristiche di rusticità, resistenza al caldo e impatto estetico. È importante però che un hobbista non si lasci ammaliare dal packaging della confezione che acquista, ma che si faccia guidare dai consigli delle aziende sementiere, in grado di indicare le specie e le varietà più adatte a seconda delle varie esigenze.

–          Taglio: è un passaggio basilare nella manutenzione di un tappeto erboso naturale. Più è frequente il taglio e più l’erba si irrobustisce. Per questo motivo è importante farlo spesso, anche con l’aiuto dei robot tagliaerba molto diffusi oggi. Un prato non sarà mai in salute se non viene tagliato spesso. Anche l’altezza di taglio è importante. Un tappeto erboso tagliato troppo basso rischia infatti di diradarsi e indebolirsi, fino a rovinarsi completamente. Soprattutto d’estate e prima dell’inverno è consiglaibile tagliare i prati a non meno di 4-5 cm.

–          Irrigazione: si tratta di una pratica complessa e quindi soggetta a numerosi errori. La regola generale impone di bagnare il proprio tappeto erboso in maniera abbandonate e poco frequentemente. Il processo opposto avrebbe effetti negativi, perché irrigare troppo spesso indebolisce il prato e favorisce la crescita delle infestanti e delle malattie. Si consiglia inoltre di svolgere l’irrigazione la notte o nel primo mattino, mai alla sera.

–          Concimazioni: la concimazione fornisce il nutrimento al prato, logico quindi capire quanto sia vitale come processo. Come un essere umano se mangia poco e male può facilmente ammalarsi e indebolirsi, così succede al tappeto erboso se non viene concimato a sufficienza. È una pratica che bisogna eseguire con regolarità, almeno tre o quattro volte l’anno in momenti specifici e con i prodotti corretti, evitando concimi generici o adatti ad altre colture. Anche in questa fase quindi non bisogna lasciare nulla al caso, ma farsi consigliare da un esperto.

 

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Intervista a Adriano Altissimo, Responsabile ricerca e sviluppo Landlab

Qual’è la situazione attuale della ricerca scientifica italiana in ambito di tappeti erbosi naturali?

La ricerca scientifica italiana è sicuramente cresciuta rispetto agli Anni Ottanta, quando il mercato era ancora marginale e nel nostro paese la cultura tecnica era praticamente azzerata, così come il supporto scientifico. Il vero tallone d’Achille rimane la ricerca pubblica, che ha dato un contributo decisamente modesto. Il supporto dato dal privato, condotto quindi dalle singole aziende, è il vero motore per un settore che oggi deve, tra gli altri, soprattutto affrontare il problema di non poter più fare uso dei prodotti fitosanitari.

In quali ambiti la ricerca sui tappeti erbosi ha compiuto i maggiori progressi?

Vi sono stati grandi progressi legati al miglioramento dell’adattabilità delle specie e varietà ai diversi ambienti e alle variazioni climatiche e per quanto riguarda la nutrizione delle piante. Tuttavia la strada da fare è ancora lunga: la ricerca deve ipotizzare e supportare le opportunità di innovazione, che non va delegata a chi non conosce lo scenario italiano. È importante quindi ricercare nuove specie, sviluppare nuove varietà, riducendo la dipendenza dalle importazioni, poiché data la nostra posizione geografica e l’area pedo-climatica possiamo diventare autentici leader nel settore.

Quali sono le sfide future per la ricerca sui tappeti? Quali obiettivi deve raggiungere e quali desideri deve soddisfare?

Le attese sono sicuramente alte, perché elevata è la domanda di sementi di qualità. La ricerca deve mettere in secondo piano i parametri estetici che hanno sino ad oggi guidato il miglioramento ed invece fondare l’innovazione di materiali, di sistemi, su parametri funzionali e misurabili, come ad esempio la capacità delle varietà vegetali di rispondere agli stress abiotici, come quello idrico, la stabilità del tappeto erboso e la risposta all’usura.

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