Fonte foto: Pixabay.com

Salita agli onori della cronaca oltre 10 anni fa (www.pratinaturali.it/sport-prati-naturali-meglio) la notizia relativa ai rischi per la salute connessi all’attività sportiva sui campi in erba sintetica è stata una vera e propria bomba, soprattutto in Olanda, dove la discussione attorno a questa questione continua a tenere banco da diversi mesi.
Tutto è partito da un’indagine della trasmissione televisiva olandese “Zembla” andata in onda ad ottobre 2016, secondo la quale i granuli di gomma utilizzati per l’intaso dei prati sintetici sono potenzialmente cancerogeni poiché rilascerebbero composti nocivi per l’uomo.
La trasmissione (visionabile a questo link ) ha spinto il governo dell’Aia a chiedere un’ indagine all’Istituto nazionale olandese per la salute e l’ambiente (RIVM), che, di fatto, ha ribaltato la tesi della trasmissione rilevando come “trascurabile” il rischio per la salute di chi viene a contatto con i campi in erba sintetica. “I granuli di gomma contengono svariate sostanze – recita lo studio – come idrocarburi policiclici aromatici, metalli, ftalati e bisfenolo A, il cui rilascio nell’ambiente circostante risulta però essere in concentrazioni molto ridotte. Questo perché – continua lo studio – le sostanze sono inglobate all’interno dei granuli, quindi il loro effetto sulla salute umana risulta trascurabile”.
Non si è fatta attendere la replica di Zembla, che lo scorso febbraio ha girato una seconda puntata del documentario (visionabile a questo link) replicando al RIVM tramite il parere scientifico del prof. Jacob de Boer, direttore dell’istituto per gli studi ambientali dell’Università di Amsterdam (Vrije Universiteit), secondo il quale è fortemente sconsigliato svolgere attività sportiva su prati sintetici rivestiti da granuli di gomma.

Evidenze scientifiche

Gli studi svolti dall’Istituto olandese hanno sottoposto stadi giovanili ed embrioni di pesce zebra (Danio rerio, scelto perché in questi pesci il cancro si sviluppa in modo simile a quello dell’uomo) evidenziando l’effetto delle sostanze incriminate: “gli embrioni esposti ad acqua messa a contatto per 24 ore con i granuli di gomma – ha detto de Boer intervistato da Zembla – sono morti dopo 5 giorni, mentre gli stadi giovanili dei pesci hanno modificato il loro comportamento. Secondo l’RIVM le sostanze chimiche sono imprigionate dentro i granuli – ha aggiunto de Boer – ma noi abbiamo riscontrato l’esatto opposto, vengono rilasciate nell’ambiente».
«Va segnalato che serviranno ulteriori studi per provare l’effetto sulla salute umana, ma gli studi dell’Università di Amsterdam sono un campanello d’allarme», ha detto a Zembla Jessica Legradi, tossicologa della Vrije Universiteit.
La questione, insomma, è lungi dall’essere chiusa.

Fonti consultate
https://zembla.vara.nl/nieuws/dutch-university-research-shows-use-of-rubber-infill-for-artificial-grass-should-be-avoided
http://rivm.openrepository.com/rivm/handle/10029/620801
https://www.vu.nl/en/
http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1535610802000521

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Nada Forbici, presidente di Assofloro Lombardia

«Progettare il verde urbano del futuro vuol dire oltrepassare gli schemi tradizionali progettuali con i quali si interpretavano e realizzavano le aree verdi, in particolare quelle a destinazione pubblica: significa far convivere un progetto spaziale con quello naturalistico e sociale, creare nuovi ed integrati rapporti tra i sistemi insediativi e tutte le componenti degli spazi aperti, siano esse di natura percettiva sia partecipativa». Questa la filosofia della presidente di Assofloro Lombardia Nada Forbici, con la quale abbiamo cercato di delineare lo scenario di domani per il prato naturale, tra cui la defiscalizzazione del verde privato.
Presidente Forbici, quali sono le tendenze future più interessanti relativamente al verde urbano?
In futuro sarà sempre più fondamentale concepire il paesaggio come espressione del luogo stesso in cui si trova inserito e dell’aspetto sociale-culturale della comunità che lo ospita. Il futuro verde urbano dovrà sapersi adattare ad un mondo in cambiamento, non solo nel clima ma anche della società e nelle richieste del cittadino. La parola chiava sarà Progetti Integrati: una sinergia ed un ridisegno del tessuto urbano che compenetri infrastrutture verdi e green building, creando nuovi ecosistemi che contribuiscano a migliorare il microclima e la biodiversità e ridurre l’inquinamento, le isole di calore, i dissesti idrogeologici”.

Il prato naturale è un elemento propulsivo per il verde urbano, come sarà secondo lei il prato del futuro?
Il concetto di prato ornamentale, arrivato in Italia secondo il paradigma del “prato all’inglese” (un prato perfetto, elegante, raffinato e, di conseguenza, molto esigente da un punto di vista manutentivo e di costi), è destinato a subire una svolta che è in parte già avviata. Già da qualche anno, infatti, a partire dalla crisi economica che ha ridotto le risorse pubbliche e private, in concomitanza con l’attenzione crescente all’impatto ambientale delle azioni antropiche, il modello del prato all’inglese ha iniziato a vacillare.
Così iniziano a farsi spazio tappeti erbosi più ecologici e più economici, che prevedono l’utilizzo di specie autoctone, di varietà più resistenti allo stress idrico, di prati estensivi a basso costo manutentivo (ridotto nr. di sfalci, ridotto uso della chimica per fertilizzazione), di prati più resistenti alle malattie (che possano essere gestiti senza l’utilizzo di prodotti fitosanitari.
Sono nate così nuove tipologie di tappeto erboso prima non conosciute dal mercato, ed altre sono ancora in fase di sperimentazione, oggi in Italia.

Ritiene che a queste innovazioni debba seguire un nuovo approccio da parte degli gli operatori del settore?
L’approccio nuovo si può riassumere in queste parole chiave: gestione organica del tappeto erboso, e approccio naturale/biologico. Il cambiamento culturale, che deve avvenire nel pubblico ma anche negli operatori professionisti (giardinieri) è molto lento e difficile, anche perché va nella direzione opposta rispetto ai paradigmi della nostra società post-contemporanea (quelli del tutto-subito e del perfetto-per sempre-a costo accessibile). Per questo si sta verificando il fenomeno di mercato del prato sintetico, con un boom vero e proprio negli ultimi due anni, perché risponde perfettamente a questo immaginario. Ovviamente a livello qualitativo il prato naturale non ha confronti, l’unico punto in comune con il sintetico è che sono entrambi verdi ma tutti i benefici del prato naturale spariscono con l’utilizzo del sintetico.

Assofloro Lombardia ha presentato recentemente delle proposte di legge in materia di defiscalizzazione del verde privato: quali vantaggi apporterebbero a livello sociale e occupazionale?
I vantaggi ed i benefici sono diversi e coinvolgono svariati livelli. Grazie all’incentivazione di interventi di riqualificazione, recupero e realizzazione di aree verdi private, attraverso un sistema di agevolazioni fiscali, si otterrebbero una serie di risultati importanti fra cui:
• aumento dell’occupazione,
• aumento del gettito fiscale,
• emersione del lavoro nero,
• aumento del valore immobiliare,
• riqualificazione ecologico ambientale delle aree edificate,
• diminuzione dell’isola di calore,
• miglioramento della qualità dell’aria e della vita.
La questione è di importanza trasversale perché il verde privato, come quello pubblico, hanno una ricaduta che va oltre l’estetica e riguarda l’ambiente, la salute, il benessere, la qualificazione del lavoro, ecc.
È stato stimato che l’incremento di fatturato per l’anno 2017 relativamente ai lavori straordinari di riqualificazione e manutenzione del verde, in aree verdi esistenti e aree verdi urbanizzate esistenti, ammonterebbe a circa 1,2 miliardi di euro. Tale stima è stata elaborata incrociando e rapportando i dati del settore verde con quelli del settore primario ad esso connesso, vale a dire il settore delle costruzioni e ristrutturazioni in ambito di edilizia. Per i motivi precedentemente riportati investire oggi in una politica “green oriented” potrà solo portare ricadute positive a livello nazionale

Oggi viene incentivato tutto ciò che viene ristrutturato all’esterno delle abitazioni, eccetto il verde. I tempi sono maturi per un ampliamento di prospettiva?
È necessario un ampliamento di prospettiva, da intendersi come strumento ed opportunità per il rilancio economico dell’intero settore legato al verde. I dati sono significativi: Il florovivaismo in Italia vale oltre 2,5 miliardi di euro, di cui circa 1,15 per la sola produzione di fiori e piante da vaso. Sono ben 30.000 le aziende impegnate nel settore, per un totale di 180.000 occupati nel settore compresi quelli dell’ambito manutentivo e quasi 29.000 ettari di superficie agricola complessivamente occupata. Consideriamo poi tutto l’indotto connesso al mondo del verde produttivo e di costruzione-manutenzione. È un’opportunità, rimarchiamo, per sostenere e rilanciare l’intero comparto legato al verde che, non smetteremo di ricordare, apporta benefici imprescindibili per l’ambiente e la salute di tutti noi cittadini.

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In città fa più caldo che in campagna. Quello che può sembrare un luogo comune è in realtà un’allerta reale, una problematica che da diversi anni viene evidenziata da meteorologi e climatologi.
Il fenomeno che ci fa boccheggiare in città si chiama Isola di calore ed è un evento climatico documentato da centinaia di studi scientifici che determina un microclima più caldo all’interno delle aree urbane cittadine rispetto alle circostanti zone periferiche e rurali.
La cause sono diverse: la diffusa cementificazione, le superfici asfaltate che prevalgono nettamente rispetto alle aree verdi, le emissioni degli autoveicoli, degli impianti industriali e dei sistemi di riscaldamento e di aria condizionata ad uso domestico.
Nelle ultime stagioni estive le temperature nelle grandi città italiane sono aumentate tra gli 1,8 e i 3,7 °C rispetto alle medie del trentennio di riferimento climatico 1961-1990 (convenzionalmente fissate dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale) mentre nelle aree rurali circostanti i valori si sono mantenuti pressoché stabili con le medie trentennali, tanto che nei progetti di nuova urbanizzazione e negli interventi di riqualificazione di aree già urbanizzate la minimizzazione dell’isola di calore porta a scelte tecnicamente consapevoli circa le caratteristiche dei materiali di costruzione e, aspetto ancora più importante, la copertura verde del suolo (alberi e superfici a verde) e degli edifici (tetti e pareti verdi).
È risaputo, oltre che scientificamente provato, che le superfici naturali riducono maggiormente il calore rispetto alle pavimentazioni urbane, il terreno nudo o ai materiali sintetici per merito del processo di evapotraspirazione.
Uno dei “materiali” biologici più efficaci per il controllo del microclima degli spazi esterni è appunto la vegetazione che, se utilizzata in modo appropriato, può determinare un effetto di miglioramento consistente.

Ricordiamo che in una bella giornata estiva un tappeto erboso di un ettaro è in grado di rilasciare 20.000 litri di acqua nell’atmosfera, inoltre, sempre attraverso l’evapotraspirazione, il verde urbano fornisce sia protezione solare sia raffreddamento dell’aria ambiente: uno studio sull’impatto degli spazi verdi urbani ha dimostrato che l’evapotraspirazione degli alberi o delle aree verdi aumenta l’umidità relativa dell’aria e contribuisce indirettamente alla riduzione della temperatura in città.
L’effetto di raffrescamento estivo dei grandi parchi urbani e delle cinture verdi è noto: diverse sperimentazioni internazionali testimoniano una differenza di temperatura dell’aria da 2 a 4°C fra gli spazi interclusi in grandi aree verdi e quelli dell’ambiente costruito immediatamente circostante. Tale differenza di temperatura, oltre a determinare diverse condizioni di comfort tra aree verdi ed aree costruite, induce brezze termiche urbane che, in assenza di vento, possono dare un contributo al raffrescamento del sito e degli edifici.

Fonti consultate

  • “Gli effetti del verde sulla mitigazione dell’isola di calore urbana” – Beretta S. – Politecnico di Milano, Facoltà di Architettura e Società
  • www.mygreenbuildings.org
  • www.wikipedia.com
  • Arpae – Emilia Romagna
  • “Spazi verdi da vivere” – Regione Veneto, Azienda ULSS 20, Università Iuav di Venezia

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Calciatore professionista o dilettante, rugbista della Nazionale o semplice amante del golf, qualunque sia il tuo sport farlo su un prato naturale è meglio.
A dirlo sono diversi studi, tra cui uno della NFLPA (National Football League Players Association) secondo la quale i giocatori professionisti di football americano preferiscono i prati naturali per svariati motivi, tra cui il minor rischio di infortuni rispetto a quelli sintetici, il minor affaticamento fisico soprattutto in caso di temperatura elevata e, non ultimo, l’odore decisamente più gradevole.
A corroborare questa tesi è anche un Report dello scorso anno del Dipartimento di Microbiologia agro-alimentare dell’Università di Catania, secondo il quale in molti campi in erba sintetica (campi di calcio, calcetto, tennis) sono state rilevate elevate presenza di Escherichia coli, stafilococchi e carica batterica aerobia totale.

I motivi, spiega il Rapporto, sono ancora oggetto di studio, ma i risultati del tutto preliminari pongono le basi per ulteriori indagini microbiologiche per comprendere l’origine della contaminazione e dello sviluppo microbico (acqua impiegata per il lavaggio dei campi, calpestio dei giocatori, gocce di sudore, saliva e sangue, condizioni climatiche).
Secondo la prof.ssa di Microbiologia agraria dell’Università di Catania Cinzia Randazzo, l’indagine ha evidenziato una carica microbica totale – su svariati punti del manto appartenenti a diversi impianti – di 10.000 unità formanti colonie (ufc) per cm², stafilococchi pari a 1.000 ufc/cm² ed Escherichia coli pari a 100 ufc/cm².

I campi naturali, al contrario, sono costituiti da miscugli di tante varietà di “erba” e grazie all’attività dei microrganismi naturalmente presenti si autodepurano autonomamente dai batteri nocivi.
Già una decina di anni fa, nel 2006, salì agli onori delle cronache il rischio di presenza, nell’intaso di gomma che sostiene il manto d’erba artificiale di 13 centri sportivi analizzati dai Nas, di quantità pericolose e in alcuni casi oltre la soglia stabilita per legge di Ipa (idrocarburi policiclici aromatici dannosi per reni, fegato e polmoni), toluene (composto volatile altamente tossico) e metalli pesanti.

Secondo una nota diramata all’epoca da una specifica Commissione della FIGC per i campi in erba artificiale – presieduta dal Prof. Roberto Verna, ordinario di patologia clinica presso l’Università “La Sapienza” (Roma) –si sottolineava infatti il rischio delle polveri sollevate dal pallone e inalate di conseguenza dai giocatori.

Questo allarme è tornato d’attualità anche lo scorso ottobre in Olanda dopo che la trasmissione del documentario di denuncia “Zembla” ha posto sotto i riflettori la questione.

Di seguito il video, sottotitolato in inglese, del documentario “Dangerous play” pubblicato sul sito della trasmissione “Zembla“.

 

Fonti consultate:
ESA
Assosementi
La Stampa
Repubblica
La Gazzetta dello Sport

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Intervista a Giuseppe Tombolan, titolare di Seminart

Perché un tappeto erboso naturale è meglio di uno sintetico? Quali sono i punti a favore del naturale?

Nonostante le informazioni divulgate a favore dei prati sintetici, il prato naturale ha costi di realizzo e gestione inferiori. Spesso vengono scelti i prati sintetici per una convenienza economica che non si rivela tale alla fine dell’utilizzo, senza tralasciare gli impatti positivi sull’ambiente sulla salute dei fruitori del prato naturale, vista anche la sempre maggior attenzione che l’opinione pubblica pone riguardo agli stili di vita più salutistici.

C’è un particolare segmento di mercato legato ai prati naturali che sta crescendo?

Negli ultimi anni il prato ornamentale è stato poco influenzato da quello sintetico, ma anche negli impianti sportivi si sta assistendo ad un’inversione di tendenza, con un ritorno al prato naturale.

Può segnalarci le esperienze e gli impianti più importanti di cui si è occupata la vostra azienda?

La mia azienda da sempre ha operato nella ricerca delle varietà più performanti e più adatte all’ambiento pedoclimatico Italiano, operando nell’ambito del prato ornamentale e dell’inerbimento tecnico. Le varietà più adatte alla zona di semina garantiscono migliori risultati e minori costi di gestione.

Quanto è importante la consulenza tecnica da voi offerta per soddisfare le esigenze del cliente?

È molto importante dare al cliente consumatore le corrette informazioni tecniche necessarie a migliorare i risultati, le varietà da sole possono risolvere molti problemi, ma l’informazione per la loro corretta gestione sono la base per un risultato finale soddisfacente.

Il seme è arte e tradizione,

è il vostro slogan, cosa rappresenta questa frase per voi?

Il seme è arte e tradizione e accompagna la mia azienda dalla sua nascita nel 1982. La nostra visione fin dagli inizi ha coniugato l’esperienza sul campo dei titolari e dei tecnici per la ricerca delle soluzioni migliori. Siamo dell’idea che per ogni prodotto la ricerca scientifica sia importantissima, ma l’esperienza maturata sul campo sia a sua volta una componente significativa per il buon risultato operativo.

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Intervista a Adriano Altissimo, Responsabile ricerca e sviluppo Landlab

Qual’è la situazione attuale della ricerca scientifica italiana in ambito di tappeti erbosi naturali?

La ricerca scientifica italiana è sicuramente cresciuta rispetto agli Anni Ottanta, quando il mercato era ancora marginale e nel nostro paese la cultura tecnica era praticamente azzerata, così come il supporto scientifico. Il vero tallone d’Achille rimane la ricerca pubblica, che ha dato un contributo decisamente modesto. Il supporto dato dal privato, condotto quindi dalle singole aziende, è il vero motore per un settore che oggi deve, tra gli altri, soprattutto affrontare il problema di non poter più fare uso dei prodotti fitosanitari.

In quali ambiti la ricerca sui tappeti erbosi ha compiuto i maggiori progressi?

Vi sono stati grandi progressi legati al miglioramento dell’adattabilità delle specie e varietà ai diversi ambienti e alle variazioni climatiche e per quanto riguarda la nutrizione delle piante. Tuttavia la strada da fare è ancora lunga: la ricerca deve ipotizzare e supportare le opportunità di innovazione, che non va delegata a chi non conosce lo scenario italiano. È importante quindi ricercare nuove specie, sviluppare nuove varietà, riducendo la dipendenza dalle importazioni, poiché data la nostra posizione geografica e l’area pedo-climatica possiamo diventare autentici leader nel settore.

Quali sono le sfide future per la ricerca sui tappeti? Quali obiettivi deve raggiungere e quali desideri deve soddisfare?

Le attese sono sicuramente alte, perché elevata è la domanda di sementi di qualità. La ricerca deve mettere in secondo piano i parametri estetici che hanno sino ad oggi guidato il miglioramento ed invece fondare l’innovazione di materiali, di sistemi, su parametri funzionali e misurabili, come ad esempio la capacità delle varietà vegetali di rispondere agli stress abiotici, come quello idrico, la stabilità del tappeto erboso e la risposta all’usura.

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