Per avere un prato naturale bello, rigoglioso e in salute è essenziale conoscere alcuni concetti basilari sul primo fattore che concorre alla sua costituzione: la (o le) specie utilizzate per la sua creazione.
Clima, esposizione, disponibilità di acqua e destinazione d’uso sono infatti parametri molto importanti per la buona riuscita di un prato e sono strettamente legati alle differenti specie: in linea generale i semi più indicati per il prato “di casa” sono quelli che appartengono alla famiglia delle Graminacee come Poa, Lolium, Festuca, Agrostis che si sviluppano velocemente e resistono bene a tagli frequenti, ma in commercio esistono tipi di erba che si prestano a sopportare le alte temperature e i periodi di siccità e altri meno.
La prima distinzione che è importante conoscere è quella tra specie microterme e macroterme.

Microterme: definizione e caratteristiche

Il gruppo delle specie da tappeto erboso definibili microterme è sostanzialmente racchiuso all’interno della sottofamiglia delle Festucoideae ed in massima parte rappresentato da Festuceae, Hordeae e Agrostideae. Si tratta di specie graminacee che si sono particolarmente adattate a crescere in climi a carattere prevalentemente freddo-umido. Sono però anche diffuse in regioni fredde subumide e fredde semiaride, così come nella zona di transizione.
In linea di massima presentano un intervallo di temperature ottimali comprese fra i 10 e i 18 °C per quanto concerne l’attività radicale e fra i 15 e i 24 °C per la parte vegetativa aerea. Le specie che hanno un qualche interesse dal punto di vista del tappeto erboso sono più di una ventina e la maggior parte di esse è di origine eurasiatica.
Le specie microterme di maggiore impiego nel settore dei tappeti erbosi appartengono ai generi Agrostis, Festuca, Lolium e Poa. Sono più adatte a climi freddo-umidi, in genere formano tappeti erbosi con apparati radicali superficiali, poco resistenti ad alte temperature e siccità.
Rispetto alle macroterme, si caratterizzano per:

  • crescita tendenzialmente più eretta,
  • minore tolleranza ad un taglio basso, ad eccezione di Agrostis stolonifera,
  • apparato radicale più superficiale,
  • migliore resistenza al freddo,
  • minor resistenza alle alte temperature,
  • minor resistenza alla siccità,
  • minor resistenza al logorio (danni meccanici esercitati sul tappeto erboso a seguito del suo utilizzo e della sua manutenzione),
  • minor resistenza ad attacchi di crittogame,
  • maggior tolleranza ad attacchi di insetti,
  • propagazione principalmente per seme.

Le tipiche specie per il prato all’inglese sono Lolium perenne, Poa pratensis, Festuca rubra, Festuca arundinacea e Agrostis stolonifera. Spesso queste specie vengono utilizzate in miscuglio per migliorare la capacità di adattamento del tappeto erboso alle diverse condizioni ambientali. L. perenne è apprezzabile per la spiccata velocità d’insediamento e la resistenza al calpestio.. P. pratensis predilige zone soleggiate con buona disponibilità idrica, ed è in grado di entrare in dormienza estiva in caso di caldo eccessivo o siccità prolungata. F. rubra si adatta ad ambienti ombreggiati e siccitosi e comprende tre importanti sottospecie botaniche: F. rubra rubra, F. rubra commutata e F. rubra tricofilla, che sebbene abbiano caratteristiche simili mostrano un comportamento diverso a seconda delle condizioni. F. arundinacea si caratterizza per la resistenza al caldo ed alla siccità, al calpestio ed alle malattie fungine, formando un tappeto erboso a tessitura robusta. A. stolonifera è la specie che meglio si adatta ai tagli frequenti e che offre risultati estetici migliori, tuttavia necessita di cure frequenti e per questo motivo è principalmente utilizzata nei giardini di pregio e nei campi da golf.

Macroterme: definizione e caratteristiche

Le specie macroterme che possono essere impiegate per la costituzione di un tappeto erboso sono costituite essenzialmente da graminacee appartenenti alle sottofamiglie Panicoideae ed Eragrostideae. Le specie principali sono: Zoysia japonica, Cynodon dactylon, Paspalum vaginatum, Paspalum notatum, Stenotaphrum secundatum. Provengono da regioni a clima caldo, sia umido che arido: Africa orientate e India per il genere Cynodon, Sud America per Paspalum, Centro America per Stenotaphrum, Asia per Zoysia. Sono perciò meglio adattate delle specie microterme a climi caldi, preferiscono temperature comprese tra i 24 °C ed i 32 °C per un ottimo sviluppo radicale e tra i 30 °C ed i 37 °C per la crescita di stoloni, culmi e foglie.
In generale, se poste a confronto con le microterme, le specie macroterme si caratterizzano per:

  • minore resistenza alle basse temperature (rapida ed accentuata perdita di colore autunnale), e possibilità di perdita invernale del manto erboso durante il primo inverno (winter-killing)
  • maggiore tolleranza alle alte temperature,
  • finestra di impianto ridotta a due-tre mesi nella maggior parte dei climi italiani
  • crescita più lenta,
  • maggiore sensibilità agli attacchi d’insetti, ma maggiore resistenza ai patogeni fungini,
  • maggiore tolleranza a stress idrici ed al logorio,
  • propagazione vegetativa, che consente una migliore velocità d’insediamento e una minore tendenza a formare sgradite infiorescenze,(solo per le varietà vegetative)
  • maggiore tendenza alla coltura in purezza.

In linea generale, quindi, le specie macroterme sono più adatte a climi caldo-aridi, con un optimum tra i 25 e 35°C e scarsità idrica, sono più resistenti a funghi e infestanti, ma più sensibili delle microterme agli attacchi degli insetti. Queste essenze formano una zolla molto robusta e compatta che rende il prato resistente all’usura e al calpestio. Con i primi abbassamenti termici autunnali le macroterme vanno in dormienza, assumendo una colorazione giallo paglierina; alla ripresa vegetativa primaverile riprendono una colorazione verde.

Fonti consultate:

  • Tappeti erbosi – Edagricole (2006)
  • Manuale pratico per il manto erboso 2010. Comune di Bologna
  • Progetto, Impianto e Cura del Prato (Giunti, 2008)
  • Spazi verdi pubblici e privati (Hoepli, 1995)

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“Il golf è un gioco per due persone, o coppie, che consiste nel colpire una pallina dura con mazze dalla testa di ferro e di legno fino a farla entrare in una serie di buche ricavate da una superficie erbosa levigata, poste a varie distanze le une dalle altre e separate da piste e ostacoli. Scopo del gioco è imbucare la pallina col minor numero possibile di colpi”. La definizione enciclopedica del golf secondo il Concise Oxford Dictionary evidenzia bene il forte legame tra questo sport e il prato naturale, che forse ancor più del calcio consente la valorizzazione del tappeto erboso e, con esso, dell’ambiente.
Il gioco consiste nel colpire una pallina di plastica dura (nota come palla da golf) lungo un apposito percorso, da una piazzola di partenza (il tee), fino alla buca sistemata in una zona d’arrivo (il green), mediante una successione di colpi conformi alle regole, tipicamente su più buche da conquistare lungo il percorso. Allo scopo viene utilizzato un certo numero di bastoni da golf, di forma, peso e dimensioni diverse. La vittoria va al golfista che termina le buche stabilite (generalmente 18) con il minor numero di colpi (gara a colpi o stroke play), oppure a quello che abbia vinto il maggior numero di buche (gara a buche o match play).
L’origine di questo sport è molto antica, il primo documento in cui si fa riferimento al gioco del golf, definito gowf o goff, è un decreto del 1457 del re di Scozia Giacomo II. Il golf ha fatto la sua comparsa in Italia nel 1900 e fece parte del programma olimpico nel 1900 e 1904; dopo diversi incontri fra i massimi esponenti dei tornei europei e americani con il Comitato Olimpico per un possibile ritorno del golf all’edizione 2016 dei giochi, il 9 ottobre 2009 il Comitato Olimpico Internazionale stabilì il rientro di tale gioco nel programma olimpico.

E’ un gioco molto complesso e pieno di regole e uno dei suoi aspetti più interessanti è che uno dei pochi sport a non avere un campo di gioco standardizzato: ogni campo nel mondo è diverso nelle sue caratteristiche anche se alcuni elementi si trovano ovunque. Un campo da golf può essere situato su grandi aree in pianura, in collina, in montagna o in qualsiasi luogo dove vi siano ampi spazi verdi. Il suo percorso è composto da tutta l’area di gioco (ostacoli naturali inclusi) a esclusione della zona di partenza e di quella della buca.
L’insieme di un campo di golf da 18 buche costituisce un’area di circa 60 ha che possono diventare anche molti di più se, ad esempio, si comprendono tra buca e buca zone scoscese, zone boschive da salvaguardare o zone “di rispetto” per qualche loro particolare interesse. Dal punto di vista dell’utilizzazione del territorio il campo di golf rientra (giustamente) tra le attività agricole, fatta eccezione per la club house e gli edifici ad essa annessi. Il cuore dell’impianto è ovviamente il prato naturale: un campo da golf viene realizzato prevalentemente senza uso di materiali edili, con trasformazioni del terreno dovute semplicemente a movimento terra e semina è di norma viene costituito per oltre il 50% da prato a bassa manutenzione mentre la parte restante è prevalentemente destinata a prato rasato, con limitate superfici in sabbia.

Il golf in Italia

La crescita del golf in Italia, in termini di impianti, ha avuto incrementi quasi esponenziali. Dal 1954 ad oggi, il numero dei circoli affiliati, aggregati e promozionali è aumentato di oltre 20 volte superando i 400 impianti.
Sempre nello stesso lasso di tempo le tessere distribuite sono passate da 1.220 a circa 100.000, con un incremento di oltre 80 volte il numero iniziale. In Italia esistono inoltre 175 impianti di minori dimensioni (campi pratica), dove è possibile praticare il golf a prezzi estremamente contenuti, ma che non posseggono un percorso di golf vero e proprio.
Il golf risulta piuttosto diffuso nella Pianura Padana, soprattutto in Piemonte, Lombardia e Veneto, dove sono localizzati oltre il 70% delle strutture golfistiche; mostra una buona situazione nel centro Italia, dove da alcuni anni si stanno moltiplicando gli impianti in Emilia Romagna, nella Toscana e nel Lazio, ma presenta una severa carenza nel sud d’Italia e nelle Isole.
Questo tipo di distribuzione geografica nella nostra penisola è diretta conseguenza degli insediamenti britannici che agli inizi del secolo caratterizzarono fortemente alcune località turistico – residenziali. Da queste zone il golf si è poi distribuito nelle grandi città del nord, diventando “italiano” a tutti gli effetti.
Da registrare che in questi ultimi anni la realizzazione di nuovi percorsi di golf si è fatta via via più complicata: la FIG (Federazione Italiana Golf) sostiene che il motivo non è solo una (comprensibile) contrazione della domanda di gioco vista l’attuale situazione economica, ma è sempre più difficile reperire gli spazi da destinare a questo scopo, mancano gli strumenti urbanistici per snellire i tempi di realizzazione dei vari progetti ed a volte si soffre anche per incomprensioni con le pubbliche amministrazioni o con le comunità locali. Inoltre i campi da golf soffrono, ingiustamente, di alcuni falsi miti, tra cui quello che sarebbero fonte di inquinamento ambientale a causa dell’utilizzo di fertilizzanti e fitofarmaci.
La realtà è ben diversa: da anni nella maggior parte dei percorsi di golf i fitofarmaci vengono utilizzati con grande parsimonia. Vengono difatti considerati come ultima possibilità di difesa, esistendo numerose ed efficaci tecniche alternative per la prevenzione delle principali avversità del tappeto erboso (interventi agronomici, selezione di essenze resistenti, altro). Le aree potenzialmente interessate dai trattamenti inoltre sono quelle di maggior pregio (greens, tees ed in parte fairways) ed interessano quindi una percentuale molto ridotta della superficie complessiva (dal 2 al 20% massimo, che su un percorso di 18 buche di circa 60 ha significa da 1,2 a 12 ha). Parlando di fertilizzanti, l’unico rischio potrebbe essere rappresentato dall’elemento nutritivo più importante per il tappeto erboso e più facilmente disperdibile nell’ambiente, cioè l’azoto.

Nei percorsi di golf tale rischio è estremamente contenuto o addirittura escluso per il fatto che i fabbisogni sono sempre molto bassi, le aree trattate sono circoscritte (dal 2 al 20% massimo della superficie complessiva), i vettori azotati impiegati sono spesso di origine organica o a lenta cessione ed infine i dosaggi applicati sono sempre necessariamente molto frazionati. Altro falso mito è l’elevatissima esigenza idrica, ma il contributo della Ricerca in questo senso ha portato all’individuazione di varietà e specie sempre meno esigenti dal punto di vista idrico, che nel caso delle specie “macroterme”(gramigne) ad esempio si traduce in risparmi di acqua del 50% ed oltre rispetto ad un tappeto erboso tradizionale.
Anche in questo caso una recente indagine condotta dal C.N.R. (Consiglio Nazionale delle Ricerche) ha permesso di rilevare che un percorso di golf necessità di quantitativi di acqua decisamente inferiori a quelli richiesti dalle più comuni colture agricole (circa il 50% in meno).
In realtà i percorsi di golf sono un’indiscutibile risorsa economica sia per la comunità locale e per le strutture confinanti, sia diretta che indotta (turismo). Inoltre un esempio di grande impegno del Golf italiano nei confronti dell’ambiente è rappresentato dal progetto “BioGolf”, un protocollo che, sotto il profilo della manutenzione del tappeto erboso, non prevede l’uso di prodotti chimici di sintesi, adotta fertilizzanti organici naturali e fitofarmaci biologici, punta ad operazioni colturali di natura meccanica, incentiva la sostenibilità ambientale e la protezione e la conservazione del paesaggio e della biodiversità.

Fonti consultate:

  • Tappeti erbosi – Edagricole (2006)
  • Golf History, ABC-of-Golf – www.abc-of-golf.com/golf-basics/golf-history.asp
  • C.A. Acutis, Golf. Uno sport per sempre, Milano, Sperling & Kupfer, 2001.
  • M. Campbell, La nuova enciclopedia illustrata del golf, Milano, Mondadori, 2002.
  • FIG – Federazione Italiana Golf: www.federgolf.it

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I rischi sulla salute umana legati ai prati artificiali continuano ad essere una questione controversa in più parti del mondo, anche nei paesi che vantano una fortissima tradizione di attività sportive all’aria aperta.
Se in Europa, Italia compresa, si discute da oltre un decennio sul possibile legame tra erba artificiale e insorgenza di tumori (vedi www.pratinaturali.it/salute-pubblica-lolanda-si-interroga-sui-rischi-dellerba-sintetica e www.pratinaturali.it/sport-prati-naturali-meglio) negli Stati Uniti il dibattito è altrettanto acceso; sono infatti diverse le testimonianze a favore della tesi causa (prati sintetici) – effetto (probabilità di malattia) sebbene altrettanto numerose siano quelle che mirano a sfatare tale tesi.

Ma andiamo con ordine.

Uno studio (non pubblicato) del 2016 della Rutgers University, Ateneo del New Jersey, ha infatti esaminato la composizione chimica dell’intaso di gomma utilizzato di alcuni prati artificiali a New York trovando sei potenziali composti cancerogeni (idrocarburi policlicici aromatici) ad una concentrazione superiore a quella prevista dalla legge dello Stato. In questo caso i risultati dello studio, secondo gli stessi ricercatori, potrebbero essere stati influenzati dai solventi utilizzati per l’estrazione dei composti dalla gomma, ma già nel 2014 Amy Griffin (solo per citare un caso), allenatrice di calcio dell’Università di Washington, ha effettuato una ricerca su 53 atleti statunitensi professionisti e non con i quali era entrata in contatto e ai quali era stata diagnosticata una patologia tumorale.

Più del 60% di questi giocatori di calcio erano portieri e le tipologie di tumori predominanti, leucemia e linfomi, sembrerebbero, secondo la sua tesi, legate appunto al ruolo di questi atleti, che prevede uno stretto contatto con i granuli in gomma dell’intaso del campo da gioco con elevata possibilità di ingestione accidentale e/o sfregamento con conseguenti ferite superficiali.
A fronte di queste ricerche e altre testimonianze, l’industria dei prati artificiali ha risposto con studi ufficiali che attestano come i livelli di composti cancerogeni nei granuli di gomma utilizzati negli intasi degli impianti, sebbene presenti, siano a livelli troppo bassi per essere pericolosi per la salute umana.

Di contro il National Institute of Environmental Health Sciences (NIEHS – www.niehs.nih.gov) sostiene da anni che il rischio di cancro è legato non tanto ai livelli di concentrazione di un singolo composto, quanto all’effetto combinato della concentrazione di più composti cancerogeni. Questa importante evidenza è anche alla base della creazione di una task force internazionale composta da più di 300 scienziati, conosciuta come Progetto Halifax (Halifax Project).

Secondo i ricercatori di questa task force la ricerca sulla singola sostanza chimica e sulla sua pericolosità è un approccio incompleto, infatti pochissime delle sostanze chimiche conosciute sono “cancerogeni completi” ossia sono in grado, da sole, di promuovere lo sviluppo tumorale; ne sono un esempio proprio gli idrocarburi policiclici aromatici, prodotti di combustione ubiquitari presenti nel fumo di sigaretta, nelle carni cotte alla brace, oppure anche in alcuni ambienti di lavoro come ad esempio nelle aziende che producono il carbone coke.

Anche se si è appreso molto circa i rischi connessi ad alcune singole sostanze note per essere cancerogene – evidenziano i ricercatori – sappiamo in realtà molto poco dei rischi di cancro che potrebbero essere attribuiti agli effetti combinati delle tante sostanze chimiche alle quali siamo esposti nella nostra vita quotidiana e per questo è necessario approfondirne la ricerca.

A questo va aggiunto che negli Stati Uniti l’EPA (Environmental Protection Agency – Agenzia per la protezione dell’ambiente) ha aperto un progetto, tutt’ora in corso, mirato ad accertare i rischi per la salute legati all’attività sui prati artificiali che si intitola: “Federal Research Action Plan on Recycled Tire Crumb Used on Playing Fields and Playgrounds” (Piano d’azione federale sui granuli riciclati da pneumatici utilizzati nei campi da gioco e ricreativi – consultabile a questo link: www.epa.gov/chemical-research/federal-research-recycled-tire-crumb-used-playing-fields ).
Insomma, negli Stati Uniti come in Europa il dibattito sull’impatto sulla salute dei prati artificiali è molto sentito e solo la ricerca scientifica potrà dare indicazioni chiare.
Di sicuro va ricordato come i prati naturali (vedi www.pratinaturali.it/aria-aperta-sport-prati-naturali-connubio-perfetto-benessere ) non espongano gli utilizzatori, sia atleti sportivi, sia comuni cittadini, ad alcun rischio per la salute, anzi, giovano allo stato psico-fisico delle persone ed all’ambiente in generale.

Fonti consultate:

  • www.epa.gov/chemical-research/federal-research-recycled-tire-crumb-used-playing-fields
  • Hughes, Geraint (3 febbraio 2016). “Report claims link between 3G pitches and cancer”.
  • Rappleye, Hannah (8 ottobre 2014). “How Safe Is the Artificial Turf Your Child Plays On?”. NBCNews.com. NBCUniversal Media, LLC.
  • www.unipd.it/ilbo/content/halifax-project-primi-risultati 
  • www.timesunion.com/opinion/article/How-safe-is-that-synthetic-turf-12398517.php
  • http://edition.cnn.com/2017/01/27/health/artificial-turf-cancer-study-profile/index.html
  • https://doi.org/10.1016/j.chemosphere.2012.07.053

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Intervista a Fabio Benini, responsabile della linea Tappeti erbosi di S.I.S., Società Italiana Sementi

Fabio, quali sono i punti centrali della vostra mission aziendale?
L’attività della Società è articolata su tutte le fasi del ciclo del seme e si esprime nella costituzione di nuove varietà, nella moltiplicazione delle sementi ed in fine nella loro lavorazione e commercializzazione sempre con l’intento di mettere a disposizione degli agricoltori italiani strumenti innovativi che consentano di migliorare le proprie produzioni senza tralasciare la sostenibilità per l’ambiente.

Qual è il vostro core business?
Il core business della nostra Società è rappresentato dalla costituzione, moltiplicazione produzione e commercializzazione di varietà di cereali a paglia, riso ed erba medica.
Nel settore dei “Tappeti Erbosi”, da sempre presente nel catalogo S.I.S., sfruttando un’esperienza diretta di verifica dei diversi materiali varietali, l’impegno dell’azienda è rappresentato dalla produzione e dalla commercializzazione di miscugli, sia per il mercato hobbistico sia per il mercato dei professionisti, ideati e specializzati per soddisfare al meglio le esigenze nei diversi ambienti in cui si debba costituire un gradevole e/o funzionale spazio verde, pensando a tutte le tipologie, dalla semina di un campo da calcio alla valorizzazione delle zone ombreggiate di un giardino, senza dimenticare aree di sgambamento per animali o parchi giochi pubblici.

Può segnalarci le esperienze e gli impianti più importanti di cui si è occupata la vostra azienda?
Le esperienze nel corso degli anni sono state molteplici e variegate e per questo è difficile poterne scegliere qualcuna. Nel settore dei prati naturali, diverse società sportive, piccole e grandi, sia nel bolognese che in altre zone d’Italia, dal Friuli Venezia Giulia alla Campania, hanno scelto i nostri prodotti per l’inerbimento degli impianti da gioco, non solo nelle strutture di allenamento ma anche negli impianti principali o negli stadi.

Quanto sono importanti Ricerca & Sviluppo per la vostra attività?
In questi anni la Società Italiana sementi ha continuato ad investire risorse significative nel settore Ricerca & Sviluppo, cosciente dell’importanza che il continuo aggiornamento del proprio catalogo possa rappresentare per la crescita di tutta l’azienda.
Un forte spirito di osservazione e la passione per il nostro settore, sostengono da sempre l’attività di ricerca di S.I.S.

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I due edifici del Bosco verticale di Milano

L’esempio più conosciuto, almeno nel nostro Paese, è sicuramente il “bosco verticale”, un complesso di due palazzi residenziali a torre progettato da Stefano Boeri, Gianandrea Barreca e Giovanni La Varra e situato nel Centro Direzionale di Milano, ai margini del quartiere Isola.
Il bosco verticale è un esempio di applicazione del “verde tecnologico”, una una vera e propria disciplina che unisce l’agronomia all’architettura con l’obiettivo di fondere in un’unica anima il mondo vegetale, con particolare riferimento proprio ai prati naturali, con l’ambiente urbano, portando i parchi e i giardini a contatto diretto con i luoghi dove abitiamo. Peculiarità del bosco verticale di Milano, inaugurato nel 2014, è la presenza di più di duemila essenze arboree, tra erbacee, arbusti e alberi ad alto fusto, distribuite sui prospetti. Questa tendenza, da qualche anno oggetto di continui corsi di approfondimento e formazione sia per gli architetti, sia per gli agronomi, trova la sua espressione in due tipologie principali: il verde pensile e il verde verticale.

Verde pensile

Con verde pensile si intende una tecnologia finalizzata a realizzare strati vegetativi su superfici che non sono in contatto con il suolo naturale. Le superfici possono avere spessori anche molto ridotti e possono essere impermeabilizzate, come i tetti piani o inclinati, o non impermeabilizzate.
Il verde pensile non è semplicemente uno strato di finitura, di abbellimento e/o mascheramento di superfici costruite.

Realizzare il verde pensile presuppone la gestione di un sistema integrato e complesso di strati funzionali che hanno lo scopo primario di ricreare un habitat adatto alla crescita e al corretto sviluppo delle specie arboree ed erbacee.
È una soluzione ad alto contenuto tecnologico: viene riprodotto il processo naturale con tecniche che ne imitano le funzioni così da permettere il corretto sviluppo di una superficie vegetalizzata.

Al terreno viene sostituita una stratigrafia, articolata in una serie di strati funzionali caratterizzanti, capace di smaltire le acque in eccesso trattenendo contemporaneamente l’acqua e le soluzioni nutritive necessarie alla vita delle piante.

Giardino pensile

Non stiamo di certo parlando di una moda recente, i giardini pensili sono una soluzione architettonica che affonda le proprie radici (in tutti i sensi) nel passato, basti pensare al Palazzo Borromeo, edificio seicentesco sito nell’Isola Bella, sul Lago Maggiore (comune di Stresa, provincia del Verbano-Cusio-Ossola).

Oggi, grazie alle tecnologie disponibili, le possibilità di trasformare tetti o terrazzamenti degli edifici urbani sono molteplici e adattabili a grandi superfici come a scala condominiale. Il progetto del nuovo Policlinico di Milano, una costruzione avveniristica che dovrebbe essere conclusa nel 2022, prevede la realizzazione di due blocchi di 7 piani uniti da uno centrale di tre piani sul quale sarà realizzato un giardino terapeutico pensile che secondo l’ideatore, lo stesso architetto Boeri del bosco verticale, sarà il più grande del mondo.

Verde verticale

Con verde, o giardino, verticale si intende una parete coltivata con piante specifiche. Queste sono fatte radicare in compartimenti tra due strati di materiale fibroso ancorato alla parete.

Per garantire l’approvvigionamento idrico è previsto un impianto apposito posto tra gli strati.
Vere e proprie opere d’arte, i giardini verticali vengono spesso realizzati in metropoli, in particolare sulle superfici verticali degli edifici. Possono essere anche di grandi dimensioni, come ad esempio quella del CaixaForum di Madrid, progettata dal botanico Patrick Blanc, alta 24 metri e con un’ampiezza di 460 m², oppure il “Padiglione Israele” ad Expo 2015.

Il Padiglione di Israele ad Expo2015 e il CaixaForum di Madrid

Una parete verde non è solo una soluzione esteticamente attraente, porta con sé alcuni vantaggi, andando a costituire una “seconda pelle” degli edifici che ne migliora, da un lato, l’isolamento termico, evitando l’irraggiamento diretto dei raggi solari sulla parete, e, dall’altro la valenza ambientale, contribuendo a catturare le polveri sottili (PM10) in ambiente urbano.
Sintetizzando, le facciate rivestite con prati verticali offrono alcuni vantaggi:

  • Regolazione termica: la traspirazione delle piante raffresca l’aria e l’intercapedine favorisce la circolazione d’aria;
  • Depurazione dell’aria attraverso l’assorbimento dell’anidride carbonica e la produzione di ossigeno;
  • Azione di filtraggio e depurazione degli inquinanti atmosferici;
  • Abbattimento acustico e riduzione del riverbero. La massa vegetale assorbe le onde sonore e luminose;
  • Ostacolo alla diffusione del fuoco;
  • Valorizzazione degli edifici e benefici psicologici.

Fonti consultate:
Verde Verticale – Aspetti figurativi, ragioni funzionali e soluzioni tecniche nella realizzazione di living walls e green façades. Santarcangelo di Romagna: Maggioli
Coperture a verde: ricerca, progetto ed esecuzione per l’edificio sostenibile, Hoepli
Il Nuovo Verde Verticale – Tecnologie, Progetti, Linee guida. Torino: Wolters Kluwer Italia
Giardini in verticale. Firenze: Verbavolant
Verde: naturalizzare in verticale. Santarcangelo di Romagna: Maggioli
Il verde verticale, Sistemi Editoriali Esselibri Simone

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Massimiliano Danielli

«Bologna è una città con forti radici nel mondo rurale, è tradizionalmente legata alla terra ed alla campagna e forse anche per questo i cittadini bolognesi apprezzano molto gli sport che si praticano su impianti in erba naturale, che rimandano ad antichi profumi come quello dell’erba appena tagliata». Questo il pensiero di Massimiliano Danielli, responsabile dell’U.I. Sport – Settore Edilizia e Patrimonio del Comune di Bologna, al quale abbiamo posto alcune domande.

Dott. Danielli, che rapporto hanno i cittadini bolognesi con gli sport che si praticano su prato?
Il cittadino bolognese è naturalmente spinto all’utilizzo del prato naturale perché Bologna vanta una grande tradizione e competenza nella manutenzione di questo genere di superficie. La prima squadra di calcio cittadina gioca in uno stadio, il Renato Dall’Ara, che è sempre stato ai vertici della categoria come qualità del terreno di gioco e che peraltro è stato rizollato completamente questa estate a conferma della tradizione sportiva locale. Un’altra eccellenza cittadina è lo stadio del baseball Gianni Falchi, teatro di scontri epici che, sia nel passato sia nel presente, hanno portato la nostra città al vertice in Italia e in Europa. La eccellente qualità di questo terreno di gioco ha consentito ai cittadini bolognesi di poter assistere anche a partite di campionati mondiali ed europei.

Vedere i propri idoli sportivi giocare e vincere su prati naturali ha indotto le giovani leve e le famiglie ad apprezzare i vantaggi di questo genere di struttura. Non dimentichiamoci inoltre che il cittadino bolognese è tradizionalista: aver giocato in cortile da bambino fa apprezzare la pratica dello sport su erba naturale.

Lo stadio Renato Dall’Ara

Bologna vanta una buona percentuale di verde attrezzato e aree sportive all’aperto (10% sul totale del verde urbano), è un valore destinato a crescere?
A Bologna c’è un buon equilibrio tra zone rurali e area metropolitana, questo ci permette di avere oggi diverse soluzioni di verde attrezzato e di aree sportive all’aperto in tutte le aree della città.

L’Amministrazione Comunale però non si sta accontentando di quanto già ottenuto nel corso dei decenni passati quando c’erano più possibilità di creare nuovi impianti e di attrezzare nuove aree. Oggi, pur con minori risorse economiche, si sta lavorando a diversi progetti di ristrutturazione ed ampliamento di impianti esistenti.

 

Può segnalarci delle iniziative future del Comune per mettere ancora più in sinergia il verde urbano e lo sport?
Già da diversi anni l’Amministrazione Comunale, in collaborazione con il Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Ausl di Bologna e con le società, associazioni ed enti di promozione presenti nel territorio, promuove Parchi in Wellness (fino al 2016 denominato Parchi in Movimento), un progetto che offre la possibilità di praticare movimento all’interno dei parchi e dei giardini pubblici della città, mediante appuntamenti gratuiti settimanali. Parchi In Wellness è un percorso rivolto a tutti i cittadini, mirato alla diffusione della buona pratica del movimento, dell’attività motoria all’aperto, con l’intento di contribuire alla promozione della salute e del wellness, favorendo nel contempo la frequentazione e conoscenza dei parchi e dei giardini presenti sul territorio comunale.

Con questo progetto si vuole anche creare una continuità, anno dopo anno, delle attività motorie organizzate cosicché ogni Società sportiva “adotti“ uno o più parchi/giardini, cercando di trasportare in quell’area anche altre iniziative, facendoli diventare un punto di ritrovo attivo.
Alcune delle aree verdi scelte sono gestite e certificate secondo il metodo “Bio-Habitat”, attraverso una manutenzione di tipo biologico che consente di limitare l’inquinamento ambientale e, nel contempo, favorisce la biodiversità. Vorrei segnalare anche che i grandi eventi di promozione dello sport, “Bologna Sport Day” e “Italian Sporting Games” si svolgono negli ultimi anni all’interno del Parco cittadino dei Giardini Margherita e le manifestazioni sportive cittadine “Race for the Cure” e “Run Midnight” hanno scelto come luogo dedicato all’evento la prima i Giardini Margherita e la seconda i Giardini della Montagnola.

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Un bel prato che cresce da solo è il sogno di qualunque appassionato del verde e, come tale, è praticamente irrealizzabile, ma avere un bel prato con una bassa manutenzione è possibile, a patto di fare le scelte giuste sia in termini agronomici sia di varietà.

Innanzitutto bisogna capire cosa si intende con “bassa manutenzione”, un prato, per quanto resistente e vigoroso, deve comunque poter disporre di una quantità minima di acqua e di una situazione climatica “vivibile”, ma determinate varietà di erba sono molto più adatte di altre al calpestio, necessitano di meno irrigazioni e crescono meno in altezza richiedendo quindi rasatura con minore frequenza.

La Festuca arundinacea è sicuramente una di queste: è una specie microterma appartenente alla famiglia delle Poaceae caratterizzata da ampia adattabilità: è infatti adatta a climi moderatamente freddo-umidi o freddo-aridi e cresce bene anche nelle regioni con climi intermedi. Viene molto utilizzata nella realizzazione di tappeti erbosi poiché tollera caldo, siccità, luce e ombra, rimane verde tutto l’anno (durante l’inverno tende a decolorare leggermente), resiste a diverse malattie, sopporta molto bene l’usura ed è molto persistente anche in caso di scarsa manutenzione.

Predilige suoli fertili, con un pH di 6 – 6,5 ed è caratterizzata da un apparato radicale più profondo rispetto ad altre specie come Poa pratensis, Lolium perenne e Agrostis stolonifera.

Queste caratteristiche la rendono utile sia per l’uso ornamentale, sia sportivo, viene infatti spesso utilizzata per i campi da calcio. Quasi tutte le varietà di Festuca arundinacea sono infatti adatte all’impiego sui tappeti erbosi ricreativi in considerazione dell’elevata resistenza al calpestamento, alle malattie, ai suoli acidi e della bassa suscettibilità alla formazione di feltro.

In commercio è facile reperire miscugli contenenti di Festuca arundinacea in percentuale molto elevata e composti da varietà di ultima generazione, che presentano una crescita verticale più che dimezzata rispetto agli ecotipi originali, maggiore capacità di accestimento, miglior colore, finezza fogliare e crescita eretta dei culmi.

Negli ultimi anni la Festuca arundinacea e i suoi miscugli hanno avuto grande successo, ma è importante che chi acquista non si lasci ammaliare dal packaging della confezione, ma che si faccia guidare dai consigli delle aziende sementiere, in grado di indicare le specie e le varietà più adatte a seconda delle varie esigenze.

Fonti consultate:

  • Panella A., Croce P., De Luca A., Falcinelli M., Modestini F.S., Veronesi F., 2000. Tappeti Erbosi. Calderoni Edagricole, Bologna, Italia. 475pp.
  • Russi L., Martiniello P.,Tomasoni C., Annicchiarico P., Piano E., Veronesi F., 2001. Establishment of cool season grasses in different italian enviroments. International turfgrass society research journal. Volume 9
  • Volterrani M., Magni S., 2007. Il tappeto erboso ieri,oggi e domani-in “aspetti tecnici,ambientali e paesaggistici”. I quaderni del C.I.R.A.A.
  • www.pratinaturali.it/un-tappeto-erboso-perfetto-5-semplici-mosse

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Intervista a Sebastiano Poli, sales manager di N. Sgaravatti & C.

Sebastiano Poli

Sebastiano, quali sono i punti centrali della vostra mission aziendale?
La nostra mission è quella di riuscire a comprendere in modo chiaro le esigenze di tutti gli utilizzatori di sementi da tappeto erboso in base alla destinazione d’uso e le esigenze ambientali e climatiche per poter soddisfare adeguatamente ogni tipo di cliente. La nostra azienda, grazie alla competenza ed esperienza maturata da quasi due secoli, cerca sempre di fornire prodotti all’avanguardia seguendo gli sviluppi varietali restando al passo con il miglioramento genetico.
Qual è il vostro core business?
Il nostro core business è rappresentato dal commercio con le rivendite agrarie, i garden e gli utilizzatori come i produttori di prati a rotoli, giardinieri specializzati e manutentori del verde. A ciascuna delle figure elencate viene offerta una scelta varietale molto dettagliata e specializzata.

Può segnalarci le esperienze e gli impianti più importanti di cui si è occupata la vostra azienda?
Ci siamo occupati della manutenzione e della realizzazione dello stadio Pier Luigi Penzo di Venezia e abbiamo anche fornito le sementi per la realizzazione dello stadio La Favorita di Palermo, lo stadio Erasmo Iacovone di Taranto ed altri stadi minori nel Centro-Sud Italia.
Sono stati nostri clienti anche diversi golf club, fra i quali il Circolo golf club di Is Molas (Cagliari) il Golf club di Villa Carolina (Alessandria) e il Golf club di Punta Ala (Grosseto).

Quanto sono importanti Ricerca e sviluppo per la vostra attività?
Ricerca e sviluppo sono sempre stati importantissimi per la nostra azienda. Seguendo i progressi scientifici siamo riusciti ad affrontare le problematiche relative al cambiamento climatico: per esempio, alcune specie microterme una volta utilizzate solo per foraggio, sono oggi divenute fra le più importanti specie utilizzate per la realizzazione di tappeti erbosi. Anche il miglioramento varietale sulle macroterme e stato importantissimo, se un tempo venivano utilizzate soprattutto nei climi continentali, la Ricerca ha permesso un loro ampio utilizzo anche nelle nostre aree mediterranee. Segnalo inoltre i passi da gigante fatti per quanto riguarda la resistenza alle avversità più comuni ed alla tolleranza alle diverse situazioni di stress quali siccità, calore, salinità delle acque, ecc.

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Luigi Ferri

Intervista a Luigi Ferri, Ferri Luigi Sementi

Luigi, quali sono i valori principali alla base della vostra attività?
La nostra azienda opera nel settore graminacee per tappeti erbosi da 3 generazioni, è stata fondata da mio padre Ugo ed oggi ci lavorano anche i miei figli Alessandro e Francesco.
Ciò che ci contraddistingue è la ricerca continua di nuovi prodotti , che possano sempre più soddisfare le esigenze della clientela incontrando quindi le richieste di innovazione del mercato.

Quali sono i segreti per un prato naturale perfetto?
Per ottenere un prato naturale perfetto occorre partire da un buon terreno: deve essere preparato con cura, dando attenzione al diserbo delle infestanti e al drenaggio.
Inoltre è essenziale scegliere il seme più adatto all’areale in base anche alle esigenze e alla destinazione d’uso del prato.
Oggi giorno la ricerca fa dei passi in avanti e ci permette di disporre di sementi adatte ad ogni momento di semina. Pensiamo solo ai miscugli per la rigenerazione dei prati dei campi da calcio: oggi, dopo sole tre settimane dalla risemina siamo in grado di garantire il riutilizzo del campo e con una spesa veramente contenuta. In caso di terreni siccitosi e temperature elevate, possiamo contare su varietà di Festuca arundinacee Americane che garantiscono eccellenti risultati nel tempo con minime manutenzioni.

Può segnalarci le esperienze e gli impianti più importanti di cui si è occupata la vostra azienda?
Ultimamente abbiamo collaborato per il rinverdimento di diversi campi da calcio, nella zona di Como in particolare abbiamo fornito un nostro miscuglio e in meno di tre settimane i campi erano pronti a ricevere la primaverile del Barcellona.

Il campo del centro sportivo Pineta che ha ospitato il Barcellona Camp

È stato un successo sia per noi sia per le squadre che hanno potuto usufruire di un tappeto compatto e naturale. Purtroppo un’errata informazione ha portato in questi anni a utilizzare i prati artificiali, che, al contrario di quelli naturali, non producono ossigeno grazie alla fotosintesi, non abbassano la temperatura e sono sotto accusa per la loro sospetta nocività per la saluta umana. Sia in Olanda sia negli USA, infatti, sono state fatte proposte per proibire il gioco sui campi artificiali per diverse ragioni, sia di salubrità del giocatore, sia di sicurezza legata a traumi e contusioni.
Le migliori varietà attuali possono garantire lo stesso utilizzo di un campo artificiale con un costo decisamente inferiore, sia di manutenzione sia di costi di ammortamento.

Quanto sono importanti Ricerca e innovazione nel comparto del verde, sia urbano sia sportivo?
Ricerca e innovazione sono indispensabili per garantire il miglior prodotto possibile per tutte le esigenze, sia in termini di aspetto visivo, sia di resistenza agli stress e alle malattie, senza dimenticare il risparmio idrico, tema di forte attualità.

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Edgardo e Federica Ticozzi

Intervista ad Edgardo Ticozzi, Universal Manure Company

Edgardo, qual è la mission principale della sua azienda?

La nostra è una storia di famiglia, l’azienda è stata fondata da mio padre nel 1959, e oggi ci lavora anche mia figlia Federica. Da oltre 50 anni la nostra mission è fornire ai clienti prodotti innovativi con logica “Tailor made”, dei pacchetti fatti su misura secondo le loro esigenze.Abbiamo una lunga esperienza sui tappeti erbosi per uso sportivo ma il nostro core business è senza dubbio la nutrizione, siamo profondamente convinti che per fornire risposte sicure alla nostra clientela sia necessario essere sempre aggiornati su tutte le novità del settore, a partire dalla proposta di sementi e fertilizzanti funzionali per il prato.

Può segnalarci le esperienze e gli impianti più importanti di cui si è occupata la vostra azienda? In quali aree siete più attivi?

Siamo specializzati soprattutto nei campi da golf e sinceramente, tra Italia ed Europa, ne abbiamo seguiti così tanti che non saprei sceglierne uno. Possi citare gli ultimi tre realizzati a Cortona, a Livorno e in Val Curone, nell’alessandrino. Soprattutto in questo settore crediamo molto nella nutrizione organica e organo-minerale dei tappeti erbosi, siamo una tra le pochissime aziende a fornire un pacchetto completo di prodotti eco-compatibile al 100% e/o addirittura 100% biologico per la gestione del tappeto erboso senza utilizzo di agrofarmaci. Ovviamente per ottenere i migliori risultati offriamo un servizio costante di assistenza tecnica al cliente.

Quali sono gli aspetti da considerare quando si sceglie un tappeto erboso naturale?

Al primo posto la location, un tappeto erboso a Courmayeur ha esigenze molto differenti da uno a Catania. La destinazione d’uso è altrettanto importante, un prato sportivo è molto diverso da uno ornamentale, così come lo è la tipologia di suolo, altro aspetto fondamentale da considerare. Infine direi la disponibilità idrica e l’impegno richiesto per la sua manutenzione.

Cosa significa per voi “Think Green!” (Pensa in Verde!), è un impegno preciso legato all’ecosostenibilità dei vostri prodotti?

Per noi da sempre è anche una filosofia di vita oltre che di lavoro, lavoriamo costantemente per la realizzazione di prodotti sempre più funzionali a rendere compatibile lo sviluppo dell’attività umana con l’ambiente circostante. Per noi il tappeto erboso ideale è biologico, oltre che verde.

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