Quando si parla di tappeti erbosi con finalità “professionali” come i campi sportivi, la manutenzione gioca un ruolo fondamentale. Il taglio, che nel caso del giardino dietro casa è quasi un’operazione routinaria, in ambito professionale deve essere eseguito con metodiche e tecniche ben definite.
L’altezza di taglio (assieme alla frequenza), ad esempio, discrimina nettamente il mondo “amatoriale” da quello professionale.
Una altezza di taglio molto bassa, ad esempio di poco più di 5 mm, viene generalmente effettuata per alcuni manti erbosi ad uso sportivo, come i green dei percorsi di golf, i campi di bocce in erba e i campi di tennis in erba. Negli sport che implicano la corsa di una palla (calcio, football, rugby, baseball, golf ecc.), inoltre, il taglio basso dell’erba ne favorisce il raggiungimento della massima velocità possibile di quest’ultima.
Altro aspetto interessante è il rimbalzo legato al diametro della palla stessa: nel caso del golf, del baseball e del tennis, dove si usano palle di diametro molto inferiore a quello del calcio, l’altezza di taglio influisce in modo determinante sul rimbalzo, sulla distanza raggiunta e sulla velocità di rotolamento.
Nel golf in modo particolare l’altezza di taglio influenza in modo determinante il gioco, tanto che i manutentori solitamente arrivano a tagliare l’erba ad altezze quanto più vicine possibili al minimo sopportabile dalla specie o dalle specie costituenti il tappeto erboso, una bassa altezza di taglio consente infatti di controllare meglio i colpi.

In linea generale, quindi, l’altezza di taglio in un dato tappeto sportivo o in tappeto ad uso funzionale, è nella maggior parte dei casi il miglior compromesso tra le necessità tecniche del gioco in questione e le esigenze agronomiche delle specie utilizzate.
L’altezza di taglio di ogni singola specie deve variare durante il corso della stagione vegetativa per adeguare i processi fisiologici della pianta al mutare delle condizioni ambientali. Nei momenti di massima attività vegetativa è preferibile infatti tenersi sui limiti minimi di tollerabilità dal punto di vista delle altezze, per poi alzarli nei mesi invernali o durante un caldo periodo estivo quando l’essenza non è in grado di vegetare. In presenza di stress del tappeto (da logorio, da ombreggiamento, da temperature, da carenza idrica, ecc.) sempre consigliabile elevare l’altezza di taglio.
Il discorso cambia invece nel caso dei tappeti erbosi ad uso ornamentale, per i quali è infatti consigliabile assecondare le naturali richieste agronomiche delle specie impiegate in quanto il tipo di uso del tappeto non pone generalmente particolari limitazioni da punto di vista dell’altezza di taglio.
Le specie da tappeto erboso hanno una tolleranza molto differente rispetto all’altezza di taglio. Questa tolleranza è legata alle caratteristiche vegetative del culmo e delle foglie. Ad esempio, le specie a portamento strisciante quali gramigna o Agrostis stolonifera tollerano altezze di taglio più basse di quanto non possano sopportare specie a portamento più eretto e cespitoso come la Festuca arundinacea. Anche la crescita delle foglie può seguire uno sviluppo più verticale come nel caso di Festuca rubra o Zoysia oppure una crescita più orizzontale come nel caso di Agrostis stolonifera.

Anche una altezza di taglio eccessiva può causare problemi a certe specie: ad esempio specie a crescita prostrata come gramigna e Agrostis stolonifera devono avere un taglio basso, purché entro i limiti tollerati, altrimenti si favorisce la formazione del feltro.
Altra raccomandazione è di non alzare o abbassare in modo consistente l’altezza di taglio nel tardo autunno.

Fonti consultate

  • Tappeti erbosi – Edagricole (2006)
  • Manuale pratico per il manto erboso 2010. Comune di Bologna
  • Progetto, Impianto e Cura del Prato (Giunti, 2008)

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https://www.flickr.com/photos/andreapacelli/850947406/

“Il golf è un gioco per due persone, o coppie, che consiste nel colpire una pallina dura con mazze dalla testa di ferro e di legno fino a farla entrare in una serie di buche ricavate da una superficie erbosa levigata, poste a varie distanze le une dalle altre e separate da piste e ostacoli. Scopo del gioco è imbucare la pallina col minor numero possibile di colpi”. La definizione enciclopedica del golf secondo il Concise Oxford Dictionary evidenzia bene il forte legame tra questo sport e il prato naturale, che forse ancor più del calcio consente la valorizzazione del tappeto erboso e, con esso, dell’ambiente.
Il gioco consiste nel colpire una pallina di plastica dura (nota come palla da golf) lungo un apposito percorso, da una piazzola di partenza (il tee), fino alla buca sistemata in una zona d’arrivo (il green), mediante una successione di colpi conformi alle regole, tipicamente su più buche da conquistare lungo il percorso. Allo scopo viene utilizzato un certo numero di bastoni da golf, di forma, peso e dimensioni diverse. La vittoria va al golfista che termina le buche stabilite (generalmente 18) con il minor numero di colpi (gara a colpi o stroke play), oppure a quello che abbia vinto il maggior numero di buche (gara a buche o match play).
L’origine di questo sport è molto antica, il primo documento in cui si fa riferimento al gioco del golf, definito gowf o goff, è un decreto del 1457 del re di Scozia Giacomo II. Il golf ha fatto la sua comparsa in Italia nel 1900 e fece parte del programma olimpico nel 1900 e 1904; dopo diversi incontri fra i massimi esponenti dei tornei europei e americani con il Comitato Olimpico per un possibile ritorno del golf all’edizione 2016 dei giochi, il 9 ottobre 2009 il Comitato Olimpico Internazionale stabilì il rientro di tale gioco nel programma olimpico.

E’ un gioco molto complesso e pieno di regole e uno dei suoi aspetti più interessanti è che uno dei pochi sport a non avere un campo di gioco standardizzato: ogni campo nel mondo è diverso nelle sue caratteristiche anche se alcuni elementi si trovano ovunque. Un campo da golf può essere situato su grandi aree in pianura, in collina, in montagna o in qualsiasi luogo dove vi siano ampi spazi verdi. Il suo percorso è composto da tutta l’area di gioco (ostacoli naturali inclusi) a esclusione della zona di partenza e di quella della buca.
L’insieme di un campo di golf da 18 buche costituisce un’area di circa 60 ha che possono diventare anche molti di più se, ad esempio, si comprendono tra buca e buca zone scoscese, zone boschive da salvaguardare o zone “di rispetto” per qualche loro particolare interesse. Dal punto di vista dell’utilizzazione del territorio il campo di golf rientra (giustamente) tra le attività agricole, fatta eccezione per la club house e gli edifici ad essa annessi. Il cuore dell’impianto è ovviamente il prato naturale: un campo da golf viene realizzato prevalentemente senza uso di materiali edili, con trasformazioni del terreno dovute semplicemente a movimento terra e semina è di norma viene costituito per oltre il 50% da prato a bassa manutenzione mentre la parte restante è prevalentemente destinata a prato rasato, con limitate superfici in sabbia.

Il golf in Italia

La crescita del golf in Italia, in termini di impianti, ha avuto incrementi quasi esponenziali. Dal 1954 ad oggi, il numero dei circoli affiliati, aggregati e promozionali è aumentato di oltre 20 volte superando i 400 impianti.
Sempre nello stesso lasso di tempo le tessere distribuite sono passate da 1.220 a circa 100.000, con un incremento di oltre 80 volte il numero iniziale. In Italia esistono inoltre 175 impianti di minori dimensioni (campi pratica), dove è possibile praticare il golf a prezzi estremamente contenuti, ma che non posseggono un percorso di golf vero e proprio.
Il golf risulta piuttosto diffuso nella Pianura Padana, soprattutto in Piemonte, Lombardia e Veneto, dove sono localizzati oltre il 70% delle strutture golfistiche; mostra una buona situazione nel centro Italia, dove da alcuni anni si stanno moltiplicando gli impianti in Emilia Romagna, nella Toscana e nel Lazio, ma presenta una severa carenza nel sud d’Italia e nelle Isole.
Questo tipo di distribuzione geografica nella nostra penisola è diretta conseguenza degli insediamenti britannici che agli inizi del secolo caratterizzarono fortemente alcune località turistico – residenziali. Da queste zone il golf si è poi distribuito nelle grandi città del nord, diventando “italiano” a tutti gli effetti.
Da registrare che in questi ultimi anni la realizzazione di nuovi percorsi di golf si è fatta via via più complicata: la FIG (Federazione Italiana Golf) sostiene che il motivo non è solo una (comprensibile) contrazione della domanda di gioco vista l’attuale situazione economica, ma è sempre più difficile reperire gli spazi da destinare a questo scopo, mancano gli strumenti urbanistici per snellire i tempi di realizzazione dei vari progetti ed a volte si soffre anche per incomprensioni con le pubbliche amministrazioni o con le comunità locali. Inoltre i campi da golf soffrono, ingiustamente, di alcuni falsi miti, tra cui quello che sarebbero fonte di inquinamento ambientale a causa dell’utilizzo di fertilizzanti e fitofarmaci.
La realtà è ben diversa: da anni nella maggior parte dei percorsi di golf i fitofarmaci vengono utilizzati con grande parsimonia. Vengono difatti considerati come ultima possibilità di difesa, esistendo numerose ed efficaci tecniche alternative per la prevenzione delle principali avversità del tappeto erboso (interventi agronomici, selezione di essenze resistenti, altro). Le aree potenzialmente interessate dai trattamenti inoltre sono quelle di maggior pregio (greens, tees ed in parte fairways) ed interessano quindi una percentuale molto ridotta della superficie complessiva (dal 2 al 20% massimo, che su un percorso di 18 buche di circa 60 ha significa da 1,2 a 12 ha). Parlando di fertilizzanti, l’unico rischio potrebbe essere rappresentato dall’elemento nutritivo più importante per il tappeto erboso e più facilmente disperdibile nell’ambiente, cioè l’azoto.

Nei percorsi di golf tale rischio è estremamente contenuto o addirittura escluso per il fatto che i fabbisogni sono sempre molto bassi, le aree trattate sono circoscritte (dal 2 al 20% massimo della superficie complessiva), i vettori azotati impiegati sono spesso di origine organica o a lenta cessione ed infine i dosaggi applicati sono sempre necessariamente molto frazionati. Altro falso mito è l’elevatissima esigenza idrica, ma il contributo della Ricerca in questo senso ha portato all’individuazione di varietà e specie sempre meno esigenti dal punto di vista idrico, che nel caso delle specie “macroterme”(gramigne) ad esempio si traduce in risparmi di acqua del 50% ed oltre rispetto ad un tappeto erboso tradizionale.
Anche in questo caso una recente indagine condotta dal C.N.R. (Consiglio Nazionale delle Ricerche) ha permesso di rilevare che un percorso di golf necessità di quantitativi di acqua decisamente inferiori a quelli richiesti dalle più comuni colture agricole (circa il 50% in meno).
In realtà i percorsi di golf sono un’indiscutibile risorsa economica sia per la comunità locale e per le strutture confinanti, sia diretta che indotta (turismo). Inoltre un esempio di grande impegno del Golf italiano nei confronti dell’ambiente è rappresentato dal progetto “BioGolf”, un protocollo che, sotto il profilo della manutenzione del tappeto erboso, non prevede l’uso di prodotti chimici di sintesi, adotta fertilizzanti organici naturali e fitofarmaci biologici, punta ad operazioni colturali di natura meccanica, incentiva la sostenibilità ambientale e la protezione e la conservazione del paesaggio e della biodiversità.

Fonti consultate:

  • Tappeti erbosi – Edagricole (2006)
  • Golf History, ABC-of-Golf – www.abc-of-golf.com/golf-basics/golf-history.asp
  • C.A. Acutis, Golf. Uno sport per sempre, Milano, Sperling & Kupfer, 2001.
  • M. Campbell, La nuova enciclopedia illustrata del golf, Milano, Mondadori, 2002.
  • FIG – Federazione Italiana Golf: www.federgolf.it

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Massimiliano Danielli

«Bologna è una città con forti radici nel mondo rurale, è tradizionalmente legata alla terra ed alla campagna e forse anche per questo i cittadini bolognesi apprezzano molto gli sport che si praticano su impianti in erba naturale, che rimandano ad antichi profumi come quello dell’erba appena tagliata». Questo il pensiero di Massimiliano Danielli, responsabile dell’U.I. Sport – Settore Edilizia e Patrimonio del Comune di Bologna, al quale abbiamo posto alcune domande.

Dott. Danielli, che rapporto hanno i cittadini bolognesi con gli sport che si praticano su prato?
Il cittadino bolognese è naturalmente spinto all’utilizzo del prato naturale perché Bologna vanta una grande tradizione e competenza nella manutenzione di questo genere di superficie. La prima squadra di calcio cittadina gioca in uno stadio, il Renato Dall’Ara, che è sempre stato ai vertici della categoria come qualità del terreno di gioco e che peraltro è stato rizollato completamente questa estate a conferma della tradizione sportiva locale. Un’altra eccellenza cittadina è lo stadio del baseball Gianni Falchi, teatro di scontri epici che, sia nel passato sia nel presente, hanno portato la nostra città al vertice in Italia e in Europa. La eccellente qualità di questo terreno di gioco ha consentito ai cittadini bolognesi di poter assistere anche a partite di campionati mondiali ed europei.

Vedere i propri idoli sportivi giocare e vincere su prati naturali ha indotto le giovani leve e le famiglie ad apprezzare i vantaggi di questo genere di struttura. Non dimentichiamoci inoltre che il cittadino bolognese è tradizionalista: aver giocato in cortile da bambino fa apprezzare la pratica dello sport su erba naturale.

Lo stadio Renato Dall’Ara

Bologna vanta una buona percentuale di verde attrezzato e aree sportive all’aperto (10% sul totale del verde urbano), è un valore destinato a crescere?
A Bologna c’è un buon equilibrio tra zone rurali e area metropolitana, questo ci permette di avere oggi diverse soluzioni di verde attrezzato e di aree sportive all’aperto in tutte le aree della città.

L’Amministrazione Comunale però non si sta accontentando di quanto già ottenuto nel corso dei decenni passati quando c’erano più possibilità di creare nuovi impianti e di attrezzare nuove aree. Oggi, pur con minori risorse economiche, si sta lavorando a diversi progetti di ristrutturazione ed ampliamento di impianti esistenti.

 

Può segnalarci delle iniziative future del Comune per mettere ancora più in sinergia il verde urbano e lo sport?
Già da diversi anni l’Amministrazione Comunale, in collaborazione con il Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Ausl di Bologna e con le società, associazioni ed enti di promozione presenti nel territorio, promuove Parchi in Wellness (fino al 2016 denominato Parchi in Movimento), un progetto che offre la possibilità di praticare movimento all’interno dei parchi e dei giardini pubblici della città, mediante appuntamenti gratuiti settimanali. Parchi In Wellness è un percorso rivolto a tutti i cittadini, mirato alla diffusione della buona pratica del movimento, dell’attività motoria all’aperto, con l’intento di contribuire alla promozione della salute e del wellness, favorendo nel contempo la frequentazione e conoscenza dei parchi e dei giardini presenti sul territorio comunale.

Con questo progetto si vuole anche creare una continuità, anno dopo anno, delle attività motorie organizzate cosicché ogni Società sportiva “adotti“ uno o più parchi/giardini, cercando di trasportare in quell’area anche altre iniziative, facendoli diventare un punto di ritrovo attivo.
Alcune delle aree verdi scelte sono gestite e certificate secondo il metodo “Bio-Habitat”, attraverso una manutenzione di tipo biologico che consente di limitare l’inquinamento ambientale e, nel contempo, favorisce la biodiversità. Vorrei segnalare anche che i grandi eventi di promozione dello sport, “Bologna Sport Day” e “Italian Sporting Games” si svolgono negli ultimi anni all’interno del Parco cittadino dei Giardini Margherita e le manifestazioni sportive cittadine “Race for the Cure” e “Run Midnight” hanno scelto come luogo dedicato all’evento la prima i Giardini Margherita e la seconda i Giardini della Montagnola.

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Che l’attività fisica, da una semplice passeggiata a uno sport intenso, faccia bene è risaputo, ma farlo all’aria aperta è ancora meglio.
Diversi studi scientifici evidenziano che nella popolazione fisicamente attiva (che pratica attività fisica moderata tutti i giorni o quasi) si ha una riduzione del 30-50% del rischio relativo di malattie coronariche rispetto alla popolazione sedentaria, a parità di altri fattori di rischio.
Uno studio effettuato nel 2009 su 350.000 pazienti da 195 medici di famiglia olandesi ha evidenziato che per 15 delle 24 patologie esaminate la frequenza delle malattie croniche (cardiopatie coronariche come angina e infarto, disturbi scheletrici, ansia, depressione, infezioni respiratorie, cefalea, vertigini, infezioni delle vie urinarie, diabete) era inferiore in chi viveva a meno di 1 km di distanza da parchi o aree verdi. Non solo, in uno studio analogo giapponese del 2002, gli autori hanno studiato l’associazione a Tokio tra la presenza di aree verdi vicino alla casa di residenza e la sopravvivenza di 3.144 anziani. Ne è risultato che la probabilità di sopravvivenza a 5 anni era direttamente proporzionale allo spazio disponibile per camminare, al numero di parchi e di strade alberate vicino al domicilio, alle ore di esposizione al sole della casa e all’affermazione di voler continuare a vivere nello stesso quartiere.

Quindi, se muoversi fa bene, muoversi nel verde fa ancora meglio.
Lo sport praticato in ambienti aperti permette di respirare aria pura, migliorando l’efficienza dell’atto respiratorio. Le radiazioni solari, inoltre, esercitano un’azione curativa e preventiva nei riguardi di alcune malattie ossee o polmonari perché favoriscono la produzione di vitamina D.

Inoltre fare attività fisica su un prato naturale è più sicuro per articolazioni e muscolatura: sui manti erbosi naturali si ha un miglior appoggio delle calzature, l’erba esercita un maggiore attrito in caso di umidità e quindi minori possibilità di scivolare e cadere, senza contare la maggiore elasticità e sofficità rispetto a qualunque altra superficie. Non per niente molti atleti professionisti preferiscono giocare sulle superfici naturali invece che su quelle sintetiche.

Uno studio del Cnr (Centro nazionale ricerche) ha evidenziato, infine, come obesità infantile, attività fisica e livello di urbanizzazione siano collegati tra loro: per i bambini è importante sia la regolarità dell’esercizio sia il tempo impiegato. Fino ai 10 anni – recita lo studio – la dimensione del divertimento va privilegiata rispetto a quella della competizione ed è quindi importante aumentare nelle città gli spazi di verde pubblico attrezzato.


Fonti consultate
“Spazi per camminare, camminare fa bene alla salute”. A cura di Armando Barp e Domenico Bolla, edizioni Marsilio (2009).
“Spazi verdi da vivere”. Pubblicazione a cura dell’Azienda ULSS 20 ed Università Iuav di Venezia.
“Physical activity, adiposity and urbanization level in children: results for the Italian cohort of the IDEFICS study” – Pubblic Healt Journal, Volume 127, Issue 8, Pages 761–765 (2013).
WHO, Physical Activity – www.who.int/dietphysicalactivity/publications/facts/pa/en
“Physical activity decreases cardiovascular disease risk in women: review and meta-analysis». Am. J. Prev. Med., Y. Oguma, T. Shinoda-Tagawa.
www.sementi.it

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Fonte foto: Pixabay.com

Salita agli onori della cronaca oltre 10 anni fa (www.pratinaturali.it/sport-prati-naturali-meglio) la notizia relativa ai rischi per la salute connessi all’attività sportiva sui campi in erba sintetica è stata una vera e propria bomba, soprattutto in Olanda, dove la discussione attorno a questa questione continua a tenere banco da diversi mesi.
Tutto è partito da un’indagine della trasmissione televisiva olandese “Zembla” andata in onda ad ottobre 2016, secondo la quale i granuli di gomma utilizzati per l’intaso dei prati sintetici sono potenzialmente cancerogeni poiché rilascerebbero composti nocivi per l’uomo.
La trasmissione (visionabile a questo link ) ha spinto il governo dell’Aia a chiedere un’ indagine all’Istituto nazionale olandese per la salute e l’ambiente (RIVM), che, di fatto, ha ribaltato la tesi della trasmissione rilevando come “trascurabile” il rischio per la salute di chi viene a contatto con i campi in erba sintetica. “I granuli di gomma contengono svariate sostanze – recita lo studio – come idrocarburi policiclici aromatici, metalli, ftalati e bisfenolo A, il cui rilascio nell’ambiente circostante risulta però essere in concentrazioni molto ridotte. Questo perché – continua lo studio – le sostanze sono inglobate all’interno dei granuli, quindi il loro effetto sulla salute umana risulta trascurabile”.
Non si è fatta attendere la replica di Zembla, che lo scorso febbraio ha girato una seconda puntata del documentario (visionabile a questo link) replicando al RIVM tramite il parere scientifico del prof. Jacob de Boer, direttore dell’istituto per gli studi ambientali dell’Università di Amsterdam (Vrije Universiteit), secondo il quale è fortemente sconsigliato svolgere attività sportiva su prati sintetici rivestiti da granuli di gomma.

Evidenze scientifiche

Gli studi svolti dall’Istituto olandese hanno sottoposto stadi giovanili ed embrioni di pesce zebra (Danio rerio, scelto perché in questi pesci il cancro si sviluppa in modo simile a quello dell’uomo) evidenziando l’effetto delle sostanze incriminate: “gli embrioni esposti ad acqua messa a contatto per 24 ore con i granuli di gomma – ha detto de Boer intervistato da Zembla – sono morti dopo 5 giorni, mentre gli stadi giovanili dei pesci hanno modificato il loro comportamento. Secondo l’RIVM le sostanze chimiche sono imprigionate dentro i granuli – ha aggiunto de Boer – ma noi abbiamo riscontrato l’esatto opposto, vengono rilasciate nell’ambiente».
«Va segnalato che serviranno ulteriori studi per provare l’effetto sulla salute umana, ma gli studi dell’Università di Amsterdam sono un campanello d’allarme», ha detto a Zembla Jessica Legradi, tossicologa della Vrije Universiteit.
La questione, insomma, è lungi dall’essere chiusa.

Fonti consultate
https://zembla.vara.nl/nieuws/dutch-university-research-shows-use-of-rubber-infill-for-artificial-grass-should-be-avoided
http://rivm.openrepository.com/rivm/handle/10029/620801
https://www.vu.nl/en/
http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1535610802000521

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Calciatore professionista o dilettante, rugbista della Nazionale o semplice amante del golf, qualunque sia il tuo sport farlo su un prato naturale è meglio.
A dirlo sono diversi studi, tra cui uno della NFLPA (National Football League Players Association) secondo la quale i giocatori professionisti di football americano preferiscono i prati naturali per svariati motivi, tra cui il minor rischio di infortuni rispetto a quelli sintetici, il minor affaticamento fisico soprattutto in caso di temperatura elevata e, non ultimo, l’odore decisamente più gradevole.
A corroborare questa tesi è anche un Report dello scorso anno del Dipartimento di Microbiologia agro-alimentare dell’Università di Catania, secondo il quale in molti campi in erba sintetica (campi di calcio, calcetto, tennis) sono state rilevate elevate presenza di Escherichia coli, stafilococchi e carica batterica aerobia totale.

I motivi, spiega il Rapporto, sono ancora oggetto di studio, ma i risultati del tutto preliminari pongono le basi per ulteriori indagini microbiologiche per comprendere l’origine della contaminazione e dello sviluppo microbico (acqua impiegata per il lavaggio dei campi, calpestio dei giocatori, gocce di sudore, saliva e sangue, condizioni climatiche).
Secondo la prof.ssa di Microbiologia agraria dell’Università di Catania Cinzia Randazzo, l’indagine ha evidenziato una carica microbica totale – su svariati punti del manto appartenenti a diversi impianti – di 10.000 unità formanti colonie (ufc) per cm², stafilococchi pari a 1.000 ufc/cm² ed Escherichia coli pari a 100 ufc/cm².

I campi naturali, al contrario, sono costituiti da miscugli di tante varietà di “erba” e grazie all’attività dei microrganismi naturalmente presenti si autodepurano autonomamente dai batteri nocivi.
Già una decina di anni fa, nel 2006, salì agli onori delle cronache il rischio di presenza, nell’intaso di gomma che sostiene il manto d’erba artificiale di 13 centri sportivi analizzati dai Nas, di quantità pericolose e in alcuni casi oltre la soglia stabilita per legge di Ipa (idrocarburi policiclici aromatici dannosi per reni, fegato e polmoni), toluene (composto volatile altamente tossico) e metalli pesanti.

Secondo una nota diramata all’epoca da una specifica Commissione della FIGC per i campi in erba artificiale – presieduta dal Prof. Roberto Verna, ordinario di patologia clinica presso l’Università “La Sapienza” (Roma) –si sottolineava infatti il rischio delle polveri sollevate dal pallone e inalate di conseguenza dai giocatori.

Questo allarme è tornato d’attualità anche lo scorso ottobre in Olanda dopo che la trasmissione del documentario di denuncia “Zembla” ha posto sotto i riflettori la questione.

Di seguito il video, sottotitolato in inglese, del documentario “Dangerous play” pubblicato sul sito della trasmissione “Zembla“.

 

Fonti consultate:
ESA
Assosementi
La Stampa
Repubblica
La Gazzetta dello Sport

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“Una condizione di benessere fisico e psichico dovuta a uno stato di perfetta funzionalità dell’organismo”, la definizione enciclopedica del termine salute, per quanto accurata, non rende giustizia alla sua complessità, tanto che già nel 1946 a questa definizione l’OMS (Organizzazione mondiale della Sanità), aggiunse il concetto di “socialità”, rappresentando quindi la salute non più solo come assenza di malattie, ma come uno stato di benessere fisico, psichico e sociale.
Se la salute quindi è composta da questi tre pilastri è ovvio che dove è possibile fare movimento, rilassarsi e incontrare altre persone è più facile essere in buona salute.

Ecco che il ruolo del verde nei centri abitati, sia ricreativo sia sportivo, gioca un ruolo fondamentale per mantenere la popolazione in salute, con indubbi benefici anche a livello economico.
Secondo il Ministero della Salute l’attività motoria della popolazione in Italia è diminuita di pari passo con i grandi cambiamenti del lavoro e dell’organizzazione delle città. Tra le cause lo sviluppo dell’automazione, la dominanza del trasporto motorizzato e la riduzione di spazi e sicurezza per pedoni e ciclisti assieme al calo degli spazi per il gioco libero dei bambini e per i giochi e gli sport spontanei e di squadra.

L’organismo umano – sottolinea il Ministero – non è nato per l’inattività: il movimento gli è connaturato e una regolare attività fisica, anche di intensità moderata, contribuisce a migliorare tutti gli aspetti della qualità della vita. Al contrario, la scarsa attività fisica è implicata nell’insorgenza di alcuni tra i disturbi e le malattie oggi più frequenti: diabete di tipo 2, malattie cardiocircolatori (infarto miocardico, ictus, insufficienza cardiaca), tumori. Insomma, correre, giocare o anche semplicemente passeggiare nel verde di una città fa bene a qualunque età.

Non per niente, tra la fine del 19° e l’inizio del 20° secolo, per ovviare alle pessime situazioni igieniche delle grandi città europee causa di tubercolosi e colera, gli urbanisti cominciarono a creare aree verdi realizzando in molti quartieri parchi, giardini pubblici e aree gioco.

Ma il verde urbano ha tante altre funzioni, eccone alcune.

  • Funzione ecologico-ambientale: il verde contribuisce a regolare gli effetti del microclima cittadino attraverso l’aumento dell’evapotraspirazione, regimando così i picchi termici estivi con una sorta di effetto di “condizionamento” naturale dell’aria. In una bella giornata estiva un tappeto erboso di un ettaro è in grado di rilasciare 20.000 litri di acqua nell’atmosfera, mentre un campo da calcio cattura oltre 12 tonnellate/anno di CO2.
  • Funzione sanitaria: in certe aree urbane, in particolare vicino agli ospedali, la presenza del verde contribuisce alla creazione di un ambiente che può favorire la convalescenza dei degenti, sia per la presenza di essenze aromatiche e balsamiche, sia per l’effetto di mitigazione del microclima, sia anche per l’effetto psicologico prodotto dalla vista riposante di un’area verde ben curata.
  • Funzione igienica: le aree verdi svolgono una importante funzione psicologica ed umorale per le persone che ne fruiscono, contribuendo al benessere psicologico ed all’equilibrio mentale.
  • Funzione estetico-architettonica: anche la funzione estetico-architettonica è rilevante, considerato che la presenza del verde migliora decisamente il paesaggio urbano e rende più gradevole la permanenza in città, per cui diventa fondamentale favorire un’integrazione fra elementi architettonici e verde nell’ambito della progettazione dell’arredo urbano.

Fonti consultate:
● www.salute.gov.it
● Assosementi
● “Il verde è benessere” (2010) – GREEN CITY ITALIA
● Manuale per tecnici del verde urbano, Città di Torino

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Quali sono le città più “verdi” d’Italia? A vincere questa singolare sfida sono Pavia, Lodi, Cremona e Matera che, tra verde urbano, aree protette e Sau (superficie agricola utilizzata), presentano densità superiori alla media di tutti gli altri comuni capoluogo italiani.
A segnalare questo ottimo primato è l’Istat, che con cadenza annuale svolge un’indagine specifica dedicata appunto a censire quanto siano “verdi” le nostre città, stilando una classifica che comprende diversi fattori, tra cui verde sportivo, giardini, aree alberate, aree naturali e addirittura gli orti urbani.
Leggendo i dati dell’ultima indagine disponibile, riferita al 2014, si evidenzia come il verde urbano rappresenti in media il 2,74% del territorio dei capoluoghi di provincia (oltre 567 milioni di m²), quota che corrisponde a una disponibilità media di 31,1 m² per abitante. Questo importantissimo valore è più elevato nelle regioni del Nord: in media pari a 34,8 m² anche grazie alla buona dotazione di Trento (401,5 m²), Sondrio (312,4), Pordenone, Gorizia e Verbania (tutte con valori superiore ai 100 m² pro capite).

Al Centro, dove la media scende a 22,7 m² per abitante, solo una città su quattro ha una dotazione superiore; Terni, in particolare, raggiunge i 149,2 m² pro capite.
Tornando alle città più verdi d’Italia l’indagine spiega come queste realtà territoriali siano molto diverse. Nel caso di Matera, alla consistente componente rurale si aggiungono l’unicità delle aree di verde urbano tutelate dal Codice dei beni culturali (15,3%, contraddistinte dalla presenza del parco archeologico delle chiese rupestri) e aree naturali protette (quasi un quarto del territorio). A Lodi e Cremona incidono soprattutto la componente agricola (la Sau rappresenta più della metà del territorio) e quella delle aree protette (rispettivamente il 35% e il 27% della superficie comunale), mentre a Pavia verde urbano, aree protette e Sau sono tutti leggermente al di sopra della media.

Le aree di arredo urbano, intese come spazi verdi a valenza estetica e funzionale create per migliorare la qualità di vita nei contesti urbani, pesano poco più del 9% sul verde pubblico delle città ma la loro incidenza raggiunge il 40% in alcuni comuni del Mezzogiorno (Trapani, Cosenza, Lecce, Palermo, Benevento, Caltanissetta e Barletta), mentre per l’estensione spiccano Reggio nell’Emilia (più di 3,3 milioni di m²) e Roma (4,4 milioni di m²).

Il verde attrezzato – che include piccoli parchi con superficie pari o inferiore agli 8.000 m², con giochi per bambini, aree cani, ecc. e con diverse funzioni ricreative e di aggregazione – è molto diffuso nelle principali realtà urbane (in oltre il 56% dei capoluoghi si supera la media), con valori assoluti compresi tra 3 e 4 milioni di m² a Torino, Padova e Venezia e punte di 6 e 10 milioni rispettivamente a Milano e Roma.

Le 12 città in cui l’incidenza del verde urbano e delle aree naturali protette è superiore alla media sono in maggioranza centri urbani di medio-grandi dimensioni; in sei casi si tratta di grandi comuni: Trieste, Roma, Napoli, Reggio Calabria, Palermo e Cagliari. Sono tutti contesti – evidenzia l’Istat – dove le aree uniche di rilevante pregio sono state nel tempo sottoposte a tutela naturalistica, anche per via della contiguità con ambiti fortemente urbanizzati: a Cagliari le saline del Molentargius e di Macchiareddu e la laguna di Santa Gilla, a Trieste le aree carsiche, a Reggio Calabria il parco dell’Aspromonte, a Palermo il monte Pellegrino, a Napoli e Roma numerosi ed estesi parchi e riserve naturali.

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“La partita sarebbe molto più bella su un campo naturale”.

Sono queste le parole di Josè Mourinho alla vigilia di una importantissima sfida di Champions League tra la sua Inter e il CSKA Mosca, squadra russa che giocava le sue partite casalinghe su un campo sintetico. Se infatti qualsiasi tifoso o appassionato, ripensando a una partita rimastagli nel cuore, ricorderà il verde intenso del prato su cui i suoi campioni preferiti hanno compiuto quelle memorabili gesta, lo stesso si può dire per i protagonisti dello sport. Sono tanti gli sportivi che hanno avuto modo di testimoniare nel corso degli anni l’affetto nei confronti dell’erba, a partire da tre autentici fuoriclasse.

LA PROFEZIA DI MOURINHO

“Con il campo sintetico sono tutti svantaggi, per noi. Se la Champions è iniziata con 31 squadre che giocano sull’erba naturale e una sull’erba sintetica, sono 31 che stanno sulla strada sbagliata oppure il Cska? La partita sarebbe stata molto più bella su un campo naturale”. È l’aprile 2010 e il Triplete interista, una delle più grandi imprese calcistiche compiute da una squadra italiana, è solo nella mente di qualche inguaribile ottimista. Tra questi c’è sicuramente Josè Mourinho, condottiero nerazzurro, uno che non lascia nulla al caso. L’Inter ha da poco eliminato il fortissimo Chelsea di Ancelotti e si prepara a giocarsi l’accesso in semifinale contro il Barcellona stellare di Guardiola. Per farlo deve però superare il CSKA Mosca, rivale ostico che nei quarti di finale d’andata a San Siro ha limitato i danni e punta a ribaltare il pronostico in Russia, anche grazie al fatto di giocare su una insolita superficie sintetica. Da qui lo sfogo dello Special One, che denuncia a gran voce gli svantaggi di rinunciare a un campo in erba naturale. La sua profezia – “la partita sarebbe stata molto più bella su un campo naturale” – è assolutamente rispettata: verrà fuori un match noioso, anche se l’Inter riuscirà comunque a spuntarla. E a Madrid, sulla splendida erba del mitico Bernabeu, arriverà la terza Coppa dei Campioni nerazzurra.

ANCHE ZOFF NON HA DUBBI

“La cosa che mi manca di più è l’odore dell’erba”. Un monumento del calcio italiano, un personaggio che travalica la cronaca sportiva ed entra di diritto nel costume del nostro Paese. Non potrebbe essere altrimenti, visto che Dino Zoff, leggendario portiere della Juventus, è colui che ha alzato al cielo la Coppa del Mondo del 1982, il successo più bello della storia degli Azzurri. Eppure, a distanza di tanti anni da quell’incredibile trionfo, Zoff spiegherà di non rimpiangere i soldi o la gloria, ma l’inconfondibile profumo del prato appena tagliato prima di una partita. Un ricordo quasi fanciullesco che riporta alla mente l’istantanea più celebre di Zoff, quella in cui inchioda la palla sull’erba dello stadio Sarrià di Barcellona, teatro nel Mondiale ‘82 di Italia – Brasile: con quella grande parata Dino quando negò a Oscar un gol che sembrava già fatto spalancando alla Nazionale la strada verso il titolo.

IL TRIBUTO DI DJOKOVIC

“Mangiare l’erba? È ormai una tradizione per me. Non so cosa abbiano fatto i giardinieri, ma l’erba quest’anno aveva un sapore veramente particolare. Quando sogni da bambino di vincere Wimbledon sogni anche di fare cose pazze come questa”. L’erba nello sport non è sinonimo solo di calcio. Nel tennis, il torneo più importante e prestigioso della stagione si gioca infatti sull’erba di Wimbledon, una competizione che va in scena a Londra tra giugno e luglio dal 1877. Trionfare a Wimbledon è il sogno di qualsiasi tennista, pure del serbo Novak Djokovic che quel trofeo l’ha vinto tre volte e che è solito celebrare i suoi successi su quel leggendario campo mangiando un pezzetto di erba. Il rito è diventato estremamente popolare nel 2015, anno in cui Nole ha prevalso per la terza volta battendo in finale Roger Federer. Un gesto di affetto, per rendere omaggio alla peculiarità di un autentico tempio dello sport.

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Old Trafford e Azteca, Allianz Arena ed Emirates Stadium: sono solo alcuni dei tappeti erbosi naturali più famosi, quelli che ogni settimana sono protagonisti delle gesta dei campioni del calcio. Si può fare di meglio? Certamente sì. Ecco allora i manti erbosi su cui qualsiasi tifoso sogna di giocare.

Stadio di Wembley (Londra)

Stadio di Wembley (Londra)

5. Stadio Giuseppe Meazza – Milano: Forse l’unico stadio italiano a poter ancora competere per fascino con gli altri europei e mondiali. Eleganza e prestigio gli sono valsi il soprannome di Scala del calcio. È dedicato a Giuseppe Meazza, campione degli Anni Trenta e nel 1990 per i mondiali è stato aggiunto il terzo anello. Il suo manto erboso è stato calcato dai più grandi campioni, da Rivera a Mazzola, da Van Basten a Matthaus. È stata la sede della finale di Champions League lo scorso maggio.

4. Camp Nou – Barcellona: “Mes que un club” è l’epiteto che accompagna il Barcellona e questa frase compare a chiare lettere sugli spalti dello stadio del capoluogo della Catalogna. Potremmo dire che anche il Camp Nou è più che uno stadio, ma la roccaforte di una squadra, quella blaugrana, unica al mondo. Maestoso dall’alto dei suoi 99.000 posti a sedere, in catalano significa semplicemente “campo nuovo”, fu costruito grazie ai soldi ricavati dalla cessione in Italia di Suarez e il suo museo è uno dei più visti in tutta la Spagna. Sul prato su cui oggi Messi incanta il mondo hanno giocato i migliori talenti passati per Barcellona, Kubala, Maradona e Ronaldo.

3. Bombonera – Buenos Aires: sorge nel quartiere della Boca ed è la tana del Boca Juniors, la squadra più celebre di Argentina, fondata dagli emigranti genovesi. Il nome vero è Estadio Alberto José Armando, ma tutti lo conoscono con il suo soprannome, datogli da uno dei suoi progettisti, che una volta terminato paragonò l’impianto da lui costruito ad una scatola di cioccolatini, bombones appunto. In un luogo del genere il tifo per il Boca ribolle a climi infernali a ogni singola partita. Spesso il suo manto erboso è invaso a inizio partita da lunghi rotoli di carta, lanciati in campo come da tradizione dai supporter del Boca.

2. Wembley – Londra: il nuovo stadio è sorto sulle ceneri di quello vecchio, carico di gloria e tradizione, ma ormai piuttosto vetusto. Le due leggendarie torri sono state sostituite dall’arco che sovrasta la struttura dell’impianto ed è stato eletto a nuovo simbolo dello stadio. Ogni anno il suo mitico prato ospita le partite della Nazionale inglese e la finale della FA Cup, il torneo più antico del mondo. È rimasta intatta invece la Wembley Way, la mitica strada che percorrono i tifosi per entrare nell’impianto prima di passare sotto lo sguardo della statua di Bobby Moore.

1. Maracanà – Rio de Janeiro: lo stadio per antonomasia, è stato a lungo il più grande al mondo e rimane ancora il più leggendario. Inaugurato nel 1950 per i Mondiali, ha dato origine a una parola entrata ormai nel vocabolario calcistico: il “Maracanazo”, dalla storica finale tra Brasile e Uruguay vinta proprio da quest’ultimi, oggi sinonimo di colossale disfatta. I lavori per i Mondiali del 2014 ne hanno ridotto la capienza per motivi di sicurezza, visto che un tempo arrivava a contenere anche 200.000 persone. Un fossato profondo diversi metri serve a tenere lontani i tifosi più caldi che altrimenti scenderebbero sul prato a dare manforte ai loro beniamini.

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